(Roberta Labonia) – Il CdM fiume di ieri per partorire una manovra del peso di circa 30 miliardi passerà alla storia. Ore di tira e molla e stilettate sotto il tavolo fra centro sinistra, in particolare il M5s e la Lega che, fregata su tutta la linea in tema pensioni (a parte il contentino di un anno a quota 102 torneremo tout cort alla Fornero), pretendeva di affossare, per par condicio, anche il RDC, che invece è rifinanziato per quasi 9 miliardi. Ma non è tutto oro ciò che luccica: apprendiamo dalla stampa che ben 2 miliardi finiranno alle agenzie di collocamento private, così anche Confindustria avrà la sua parte e la smetterà di picchiare duro sui fannulloni del Rdc. E non è finito qui l’amaro calice che ha dovuto bere il centro sinistra e in particolare i 5 Stelle: addio al Cashback, che nel 2022 non verrà rifinanziato, “gambizzazione” del Superbonus 110% e del bonus facciate, caro al dem Franceschini. E laddove Draghi non è riuscito a mettere d’accordo tutti (vedi gli 8 miliardi di sgravi fiscali), ha rimandato la palla al Parlamento, dove, verosimilmente, i partiti che lo sostengono si scanneranno fra loro con esiti non prevedibili.

La realtà è che le astruse modifiche che Draghi ha fatto digerire ieri sera ai suoi ministri, snaturano la ratio originaria delle loro leggi. Ecco perché nessun partito, a parte i renziani che non hanno più onore da difendere, è uscito col sorriso da questo ultimo CdM. Altro che l’applauso finale, come super Mario ci ha tenuto a rimarcare nella conferenza stampa di ieri. Dopo il CdM di ieri e il muro contro muro che ha ingaggiato anche con i sindacati, temo che di amici, al Mario nazionale, gliene restino ben pochi (salvo i suoi tecnici del cuore e il suo establishment europeo). Il suo doveva essere un governo di “salvezza nazionale”, nato con le dichiarate intenzioni di Mattarella di portare a termine la campagna vaccinale e blindare il PNRR già pressoché completato dal governo Conte II. Invece si sta spingendo troppo oltre: con la sua innata protervia, Mario Draghi, asserragliatosi nel cerchio magico di Palazzo Chigi con suoi tecnici, sta guidando questo governo con modalità più affini al CEO di una multinazionale che ad un Presidente del Consiglio di una Repubblica parlamentare. Se gli italiani hanno digerito a suo tempo un Monti, dopo una pandemia drammatica come quella che ha abbiamo attraversato, non digeriranno un altro tecnico lacrime e sangue. Le leggi di Stato che ieri sera super Mario ha stravolto erano entrate a far parte del patrimonio popolare: sarà un’altra ferita inferta alla carne viva del Paese, ad una collettività già provata da ormai 2 anni di restrizioni sanitarie, (Green Pass incluso) e crisi economica. Aggiungerà malessere ad altro malessere sociale.

Non so se, dopo gli esiti del CdM di ieri, Giuseppe Conte continuerà ad auspicare che Draghi rimanga a palazzo Chigi fino al 2023. Lo comprendo quando dice che per completare la riorganizzazione del MoVimento ci vuole tempo ma, vista la piega che ha preso questo Esecutivo, ritengo sia arrivato il momento di ridare la parola agli elettori e alla politica. Se Mario Draghi vuol rendere un servizio al Paese e a se stesso, prima di ritrovarsi senza maggioranza (evento da mettere in conto se continua a stressare i suoi ministri), colga l’attimo: la prossima finestra sul Quirinale gli offrirebbe una onorevole via d’uscita da Palazzo Chigi e ci metterebbe al riparo dall’onta che queste destre, con la stampella Renzi, si apprestano ad infliggere al Paese: quella di un pregiudicato al Colle. Da che sembrava una boutade oggi si sta rivelando un ipotesi tutt’altro che remota. E a chi teme che il ritorno alle urne adesso ci porterebbe comunque dritti dritti in mano alle destre, rispondo che negli ultimi 10 anni gli elettori italiani, quando si è trattato di votare un governo nazionale, hanno dato prova di essere più maturi e lungimiranti della classe politica che li governa.

I tempi, visti gli ultimi fatti, sono maturi. Ps: e ora via libera ai “teloavevodetto”, a cui rispondo parafrasando una massima di James Russell Lowell, critico letterario e diplomatico statunitense: solo i morti e gli stupidi, al mutare delle situazioni, non cambiano opinione.