(Giuseppe Di Maio) – In effetti questa mania del salario è una droga. Quando paghi assiduamente gli operai, poi anche da disoccupati non perdono l’abitudine e vogliono ancora lo stipendio. Pare un discorso di Cetto La Qualunque, e invece no, è quanto si ricava dalle parole del capo della maggiore forza politica italiana nei sondaggi. Meloni ha detto che il RdC è “metadone di Stato”, che serve a mantenere in un limbo di sopravvivenza i beneficiari, impedendo veramente che si scuotano dalla loro condizione.

In Italia il discorso sul sostegno al reddito è ancora all’anno zero. C’è ancora chi mette in dubbio il dovere della collettività di garantire il minimo vitale a tutti i cittadini. C’è ancora chi crede che avere proprietà, soldi, e lavoro, sia conseguenza indiscutibile di meriti personali, senza che per questo suo successo debba ringraziare anche qualcun altro. Qui non si tratta di ridurre ogni questione sociale alla pratica di una solidarietà possibile: qui si tratta del concetto profondo di proprietà privata degli italiani. E perciò non di mera ottusità (come ci raccontano le sinistre e Giuseppe Conte), cioè quella di chi è abituato ai super stipendi e non capisce le necessità di chi fa i conti con un piatto di minestra. No, è molto di più, molto peggio. Poiché non è solo Meloni che la pensa in questo modo, ma una miriade di cittadini che credono di essersi guadagnati duramente il diritto alla sopravvivenza, e non vogliono condividere con chiunque una parte del loro benessere.

Se l’obiettivo della società è quello di creare la disuguaglianza, allora concedere il RdC senza contropartita significa annullare tutto il lavoro della società una volta concluso, una volta cioè create con successo le classi dominanti e subalterne. In questa società di diseguali nessuno vuole regalare il diritto all’esistenza a qualcun altro, nessuno vuole concedere ai perdenti la possibilità di insidiare le proprie posizioni sociali una volta conquistate. Nessuno vuole cambiare l’ordine di arrivo, ma, cosa peggiore, nessuno vuole cambiare le regole della corsa che l’hanno fatto vincere. Ognuno cerca vantaggi per sé non regole generali di giustizia. Difatti, con l’opposizione al RdC sorgono reclami di ogni specie. Perché ad esempio non aumentano le pensioni minime di chi ha lavorato una vita, invece di dare soldi a chi fa niente? E così di seguito, come se le due cose, e molte altre, non sorgessero dalla stessa contraddizione.

Meloni e compagni invece del reddito parlano ora del lavoro di cittadinanza. E non si meravigliano di aver pensato a una misura del socialismo reale, umiliante e oppressiva, ma solo per alcuni sfortunati. Mentre per i furbi di cui credono di far parte va ancora bene il mercato del lavoro, ma opportunamente truccato dalle regole che distruggono i meriti e la concorrenza, e che premiano solo gli amici degli amici. Se cambiassero queste regole, molti avversari del reddito di cittadinanza potrebbero averne presto bisogno. Pertanto dovremmo riparlare di regole a monte non di provvedimenti a valle, dovremmo parlare di verificare i meriti, e allora a molti sbruffoni il metadone sarebbe tolto.