(Pietrangelo Buttafuoco) – L’abbagliante Ferragosto di Agira – nell’entroterra di Sicilia, l’altrieri – è stato abbuiato da un lutto: la morte di Mario Giardina, colto da infarto nella pienezza della sua vita di padre di famiglia, di persona cara a tutti, e il dolore della città ha richiesto che la salma avesse pubblico onore con la camera ardente allestita nella sala consiliare.

L’atto è stato dovuto in ragione del più dolce sentimento, più che per un riguardo istituzionale: il privato è politico e la politica, insomma, si fabbrica con le storie del Mondo Piccolo, quello con cui Giovannino Guareschi ha cantato la sua Bassa, con Peppone e Don Camillo, dove la maestra Cristina poteva avere il tricolore dei monarchici sopra la bara, le campane della chiesa e così il rintocco della Casa del Popolo, al prezzo di una lesta scazzottata.

Ed è lo stesso Mondo Piccolo che da sempre replica nell’assolato granaio di Sicilia, ma con un vantaggio: l’assenza di qualunque scheggia d’odio politico. La vita di Mario coincide con quella di Tano, che fu suo padre, capo comunista che ha fatto la leggenda delle lotte agrarie nell’entroterra della nostra isola.

Un mio amico d’infanzia, Mario, laddove la sua e la mia famiglia, incontrandosi sul terreno dello scontro politico – loro con la falce e il martello del Pci, noi con la fiamma tricolore del Msi – non hanno mai mancato nel tempo a intrecciare una sincera amicizia ben oltre le formalità della convivenza civile.

Ritrovarsi nelle notti delle campagne elettorali, rifornendosi allo stesso secchio, per affiggere i manifesti dell’una e dell’altra parte; gracidare avvisi, slogan e propaganda dalle trombe di amplificazione “Geloso” per poi incontrarsi nelle piazze e nelle strade – per i comizi – accanto ai giganti di una stagione scomparsa: Giorgio Almirante che arrivava ad Agira, e così anche il “ragazzo rosso” Giancarlo Pajetta, bisognoso di un bagno, accompagnato per i suoi bisogni al Circolo dei Nobili avendo cura di non fargli trovare lungo il corridoio i fac-simili della Democrazia Cristiana, ma giusto per un fatto di educazione.

Una storia, questa, identica a tante altre in Sicilia dove mai ha attecchito l’istinto rabbioso dell’intransigenza. Dino Grammatico, sindaco del Msi a Custonaci, è uno degli artefici del Governo Milazzo – la giunta regionale che vede insieme comunisti e missini – con lui c’è Nino Buttafuoco, a sua volta sindaco del Msi a Nissoria, ed entrambi sono legati di sincera stima e affetto con i protagonisti dell’altra barricata: Emanuele Macaluso, per esempio, e il magnifico Ludovico Corrao, l’artefice della rinascita di Gibellina. Per non dire di Paolo Borsellino a cui i suoi amici del pool antimafia – tutti democratici, tutti di sinistra – riservavano il più scanzonato dei saluti romani e l’alalà conoscendone l’intimo convincimento: praticamente lo stesso della maestra Cristina.

È con il comunistissimo Pancrazio De Pasquale con cui Nino – mio zio – celebra una viva amicizia a Strasburgo, al parlamento europeo. E non c’è mai stata intransigenza, mai e poi mai il tic tipico del dibattito pubblico di separare cittadini di serie A e B sulla base di chissà quale superiorità antropologica imposta dai radical chic. Nulla di tutto quell’azionismo torinese che ha figliato il terrorismo ieri, oggi nella sequela della cancel culture, ha attecchito in Sicilia se con Tano alla testa dei braccianti, gridando ai padroni “pane e cipolla mangerete”, lo stesso Tano – il padre di Mario – non è mai caduto nella trappola del fanatismo e dell’ottusità perché forse questa terra dove l’istinto primo è la comunità, il riconoscersi paesani, ridimensiona ogni obbligo ideologico.

E Mario è stato cresciuto bene da Tano. Nella bara si porta un’educazione sentimentale speciale, quella della forgia politica – la sua famiglia, con la falce e martello – che nel farlo uomo ed erede, lo rende oggi eredità speciale cui attingere: il senso di comunità, il dovere della pluralità, il significato stesso del sorriso, il suo, in cui il lutto è luce.

E oggi – con le campane che lo accompagnano – quella fiamma che fu, gli dice ciao.

Da Repubblica del 18 agosto 2021