Si potrebbe quasi definire un blitz, se non fosse che di fatto l’hanno votato tutti i partiti, salvo poi – almeno nel caso di 5 Stelle e LeU – pentirsene. Sta di fatto che è arrivata la prima vera picconata al “decreto Dignità”, che dal 2018 (governo gialloverde) ha messo un tiepido argine al ricorso […]

(pressreader.com) – di Carlo Di Foggia – Il Fatto Quotidiano – Si potrebbe quasi definire un blitz, se non fosse che di fatto l’hanno votato tutti i partiti, salvo poi – almeno nel caso di 5 Stelle e LeU – pentirsene. Sta di fatto che è arrivata la prima vera picconata al “decreto Dignità”, che dal 2018 (governo gialloverde) ha messo un tiepido argine al ricorso ai contratti a tempo determinato, esplosi dopo il famoso “decreto Poletti” del governo Renzi che nel 2014 li aveva liberalizzati del tutto. Un autogol per il Movimento 5 Stelle che quel testo lo aveva fortemente voluto e ora tace imbarazzato. Un successo per la Confindustria, che lo ha da sempre messo nel mirino, insieme al Reddito di cittadinanza, e anche per la destra. “Abbiamo aperto una breccia nelle rigidità ideologiche di un decreto fallimentare”, esulta la forzista Anna Maria Bernini.

La modifica, arrivata con un emendamento depositato in commissione Bilancio dai deputati del Pd (primo firmatario Antonio Viscomi), ma identico ad altri presentati da FdI, Lega e Forza Italia, è di poche parole ma dirompente. In sostanza, al netto dei tecnicismi, consente di derogare ai vincoli del decreto dignità permettendo ai contratti collettivi – di qualsiasi tipo, nazionali, territoriali e perfino aziendali, stipulati dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative – di introdurre nuove ipotesi di ricorso ai contratti a termine.

Per capire la portata serve un breve riepilogo. La norma interviene sulle cosiddette “causali” che le aziende devono inserire per motivare il ricorso ai contratti a termine. Dopo la liberalizzazione totale del governo Renzi, il decreto Dignità ha ridotto da 36 a 24 i mesi di durata massima dei contratti e, salvo i primi 12 mesi liberi, ha reintrodotto in parte le causali (esigenze temporanee e oggettive; esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili dell’attività ordinaria etc.). Le causali possono essere impugnate davanti ai giudici e questo scoraggia gli abusi. Per la Confindustria, invece, sono un ostacolo da superare a tutti i costi.

Con la modifica approvata arriva un quasi liberi tutti. Quasi perché le norme prevedono comunque che i contratti siano stipulati dai sindacati nazionali o locali aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative. Niente contratti pirata, dunque, ma non sarà difficile trovare un sindacato confederale pronto a firmare tutto di fronte alla minaccia di non procedere con le assunzioni. Tanto più che è stata una esplicita richiesta di Cisl e Uil.

Questa modifica è la prima davvero strutturale al dl Dignità, visto che finora le causali erano state sospese solo temporaneamente (fino a dicembre) per l’emergenza Covid, e arriva in modo quasi surreale. L’emendamento è stato presentato e riformulato, ottenendo il parere favorevole del relatore in Commissione Bilancio alla Camera dove si stanno votando le modifiche al decreto Sostegni Bis. È stato votato giovedì insieme a diversi emendamenti, ma i 5 Stelle paiono essersi accorti solo dopo di quel che hanno approvato. Fuori di taccuino, l’imbarazzo è palpabile, nessuno vuole parlare e in molti ammettono di non averci capito molto. Il ministero non pare aver dato parere favorevole, a differenza del relatore, che peraltro è del M5S (Giuseppe Buompane). Per tutta la giornata dal Movimento non è arrivata una sola dichiarazione. Solo Stefano Fassina, di LeU, ammette di aver votato per errore e fa sapere che proporrà una modifica correttiva nel primo provvedimento utile (per il Sostegni Bis, ormai, non c’è più tempo: in Senato arriverà blindato). “L’impatto di questa norma può essere devastante – spiega Marco Barbieri, giuslavorista già membro della commissione ministeriale per la riforma degli ammortizzatori sociali – In questa situazione, l’affidamento alla contrattazione aziendale di una norma del genere scatenerà una concorrenza basata sul ricorso alla precarietà. La cosa più sbagliata da fare nella fase di uscita dalla pandemia”.

La novità arriva nel momento in cui i numeri certificano che si è tornati al trend pre-Covid: è solo il lavoro a termine a crescere. Durante l’emergenza, visto il blocco dei licenziamenti, si sono persi quasi 800 mila lavoratori a tempo determinato. Nel trimestre marzo-maggio gli occupati precari sono saliti di 188 mila unità, mentre gli stabili sono scesi di 70 mila unità. Confindustria spinge per un ricambio degli organici liberandosi dei lavoratori più tutelati. E il governo le viene incontro.