(Giuseppe Di Maio) – Forse pretendere generosità da un genovese è un’impresa ardita. Ma io sono originario di una terra in cui si diffida dei Garibaldi di turno, persino quando costoro rispondono al nome di Beppe Grillo. E allora ricordo…Ricordo che il concetto di “garante” nacque in una conferenza stampa, come parola fuggita al vocabolario di Barbara Lezzi, che sorprese Grillo, dandogli così l’idea di uno Statuto in cui la struttura fosse un giochino vuoto subordinato alla volontà del leader storico. Ricordo che Beppe è stato sempre affascinato dai giovani in politica, e anch’io ho sempre pensato che certe rivoluzioni non si potessero fare con quelli avanti nell’età, ormai incapaci di insorgere contro l’ordine sociale. Ma i giovani sono anche quelli disposti a credere senza condizioni a tutte le panzane di un vecchio narciso, e invece i vecchi allevano dubbi su tutti, anche sui più coscienziosi cittadini della Repubblica. Ricordo che l’amicizia folgorante con Casaleggio e con la sua democrazia digitale fu la risoluzione a tutti i problemi per costituire un’assemblea accondiscendente attorno a un vertice dispotico. Un vertice che poi governò l’assemblea con i falsi quesiti e con la speranza collettiva che ogni cosa fosse fatta a fin di bene. Ma andiamo ad analizzare la democrazia digitale.

I quesiti venivano posti dopo che tutta la grancassa delle stelle aveva suonato un solo spartito, dopo che si era espresso il garante, gli accoliti, e dopo aver confinato il dissenso delle “marmotte” a sconsiderate manie comportamentali. Se ciò non bastava, il quesito veniva posto in maniera che non si potesse rispondere in dissenso. E questo perché il vertice diffidava della saggezza della base, diffidava della sua capacità di intendere la politica, della sua idoneità a costruire una struttura di partito. Ecco perché la democrazia di Rousseau a mano a mano è stata disertata. Di Maio si sfilò, ormai cosciente che i suoi sforzi non gli potessero più concedere altri onori, e affidò il comando teorico a una vera mazza di scopa, Crimi, che fece tutto ciò che Grillo gli dettò. Complice la pandemia, ci vollero 10 mesi per organizzare gli stati generali che segnarono la fine del Movimento. Tre mesi di discussione? No. Tre mesi per elaborare il documento di una pagina, in cui era scritto che il partito era di Grillo, e che la guida non potesse andare a Di Battista per volontà popolare.

Ma questa mistificazione della volontà degli iscritti non piacque, e finalmente Rousseau e la sua etero direzione fu bocciata. Dei quesiti finali, il più votato ebbe 15 mila voti su 120mila iscritti; quello meno votato non arrivò a 10 mila. La democrazia delle stelle aveva fallito, e l’altarino della volontà popolare fu scoperchiato: il divorzio da Casaleggio non avrebbe più consentito a Grillo di spadroneggiare. Aver impedito di trasformare il M5S in partito era stato solo per non far nascere un’altra governance. Ma adesso le cose sono cambiate. Adesso, non ci sono più bambini al cospetto di Grillo, adesso c’è un uomo. Uno che ha dimostrato di mettere sempre le cose in chiaro quando i suoi nemici avrebbero preferito vincere di nascosto.

Ecco, Grillo, senti bene: se la funzione di garante ti è ancora conservata dovresti essere già contento. Come vedi, anche la tua incertezza ideologica è destinata a finire. Giuseppe Conte, un altro che diffida dei Garibaldi e dei garibaldini, ti ha detto chiaramente che esprimere un preciso indirizzo politico che indichi la nostra futura società è il vero compito del M5S. Ora non è più il tempo delle mezze misure e degli isterismi, né quello delle post-ideologie. Ora è arrivata l’età della ragione.