(Francesco Erspamer) – Mi auguro che domani Conte e Grillo ci rassicurino sulla solidità del loro rapporto in modo da porre fine alle speculazioni della stampa tutta (“Fatto quotidiano” incluso, in particolare come al solito la sua versione iperliberista, quella online diretta da Gomez); qualunque cosa si pensi del M5S e della sua evoluzione, è essenziale che continui a esistere, per il bene del paese e per assicurarne la tenuta democratica. Tuttavia è opportuno rendersi conto che ciò che è avvenuto ha cause profonde che vanno comprese, affrontate, risolte. Sono parecchie ma in questo intervento mi soffermerò su una delle principali: all’origine dei contrasti fra Conte e Grillo c’è un drammatico vuoto di ideologia. Entrambi ragionano tatticamente e sono abili a reagire in tempo reale a situazioni concrete ma non si interessano di strategie di lungo termine, non sanno fare propaganda e proprio non sanno cosa sia la teoria; di conseguenza, per giustificare il loro ruolo guida non hanno che la loro personalità ed è la loro personalità a far presa sui simpatizzanti. Il che andrebbe benissimo se il loro fosse uno dei tanti raggruppamenti (Lega, FdI, Pd, FI) che si limitano a intrattenere e distrarre gli italiani (essenzialmente fare gossip, dire qualsiasi cazzata che funzioni e incoraggiare il culto delle celebrity) mentre i miliardari e le loro multinazionali prendono le decisioni economiche e plasmano la società a loro immagine e convenienza.

Invece un partito che ambisca a cambiare il paese e che per questo si trovi in rotta di collisione con i poteri forti e il loro immenso apparato mediatico, non solo non può affrontarli sul loro terreno (e questo il M5S lo sa, anzi esagera nel suo rifiuto di sporcarsi le mani) ma neppure può accontentarsi di avere le intenzioni giuste; deve riuscire a farle apparire tali. E come riuscirci in condizioni di obiettiva debolezza? Inquadrando i propri propositi e interventi in una visione complessiva del paese e della società che prenda il posto di quelle dominanti o a cui la gente si è abituata. “La mente umana è naturalmente portata a dilettarsi dell’uniforme”, intuì Vico; c’è insomma uno svantaggio intrinseco, strutturale, nel vero cambiamento, in quanto chi lo propone deve essere in grado di dimostrarne i meriti senza poterne far fare esperienza: l’avvenire è sempre un’astrazione. Ora, la capacità di pensare astrattamente e dunque di imparare dal passato e di anticipare il futuro è ciò che ci distingue dagli animali; quando tale pensiero invece di esaurirsi in un sentimento irrazionale (negativo come l’angoscia o come il fatalismo o positivo come la speranza) si costringe all’uso della ragione, della logica e dell’analisi e si organizza in un progetto di lunga durata, allora nasce l’ideologia, concetto denigrato dal liberismo comunque travestito proprio per queste sue caratteristiche di persistenza e di rigore.

Non è un caso che il fondatore della politica moderna, Machiavelli, la inventò pensando a un principe nuovo, appena arrivato al potere spodestando chi ce l’aveva da generazioni. Quest’ultimo non aveva (e non ha) bisogno della politica: a far sì che tutto resti come prima basta l’inerzia, dunque il disinteresse per la politica; basta che ciascuno si faccia i fatti suoi, per egoismo, paura o rassegnazione. L’egemonia, una volta raggiunta, non può venire sconfitta e neppure messa in difficoltà dalla denuncia dei suoi abusi e delle sue contraddizioni e menzogne: non sarebbe egemonica se non fosse in grado di persuadere la gente che quegli abusi non sono tali ma anzi provvedimenti necessari, che quelle contraddizioni sono coerenza e quelle menzogne verità. L’egemonia si sconfigge solo aggregando un blocco controegemonico, ossia coalizzando e ideologizzando quelle che altrimenti resterebbero inefficaci insoddisfazioni, inespresse frustrazioni, velleitari rancori.

Per questo spero che Grillo abbia la lucidità di farsi da parte e di assumere una funzione di rappresentanza e simbolica, come la regina d’Inghilterra; e che Conte affianchi a sé stesso qualche personaggio capace di strategie e soprattutto di ideologia. A cominciare da Di Battista, il cui naturale carisma si è negli ultimi due anni affinato grazie appunto a riflessioni teoriche. Non solo lui; la lacuna è grave e va colmata al più presto.