(Francesco Erspamer) – È curioso. Per decenni in Italia la regola o l’aspirazione era il posto fisso, spesso garantito anche a chi meritasse di venire licenziato in tronco (ne conoscevo alcuni: nullafacenti che fregavano lo Stato e i loro colleghi lavorando poco e male e considerando un mese di malattia all’anno un supplemento di vacanza garantito contrattualmente). Tollerarli è stato un grave errore: i furbetti e gli stronzetti che la fanno franca diventano ancora più arroganti e i migliori alleati di chi vuole incrinare la fiducia dei cittadini nelle istituzioni. Infatti ne hanno approfittato i ricchi e i potenti per riportare la maggior parte degli impieghi al precariato e al cottimo: dopo di che la deriva si è alimentata da sé, in quanto chi si è trovato in quelle condizioni, invece di lottare perché tutti ottenessero una maggiore stabilità, ha lottato con inusitata rabbia per farla perdere a chi ancora la avesse: ciò che non posso avere io immediatamente, che non ce l’abbia nessuno per l’eternità.

In questa prospettiva anche la crociata dei pentastellati contro le “poltrone” non è che un capitolo della privatizzazione del settore pubblico auspicata e attuata dal neocapitalismo. Quali che fossero le loro intenzioni, l’effetto è stato di contribuire all’affermazione in Italia del modello americano di società fluida, ad alta mobilità sociale (più spesso indicata con l’inevitabile anglicismo: “turnover”) e del tutto priva di tradizioni, in cui mettere radici è politicamente scorretto e impegnarsi con passione o no è la stessa cosa perché tutto viene travolto dall’obsolescenza programmata. L’accusa di incompetenza è dunque meritata, anche se coloro che la lanciano sono altrettanto incompetenti e, per di più, intenzionalmente tali: ma alla fine non c’è molta differenza fra chi, come i liberisti, disprezza la conoscenza e l’esperienza (ossia la politica come prassi, sintesi di teoria e azione) in quanto ostacoli ai loro soprusi; e chi, come parecchi grillini, le disprezzi in quanto contrarie a un mitico spontaneismo e avventurismo, cioè alla convinzione che basti volere il bene in buona fede per realizzare il bene, senza bisogno di studiare, di perseverare, di fare dolorosi compromessi.

Malgrado tutto considero il M5S l’unico partito di massa in grado di contrastare la deriva liberista e l’americanizzazione del paese; per costruire una società più giusta, solidale e sostenibile servirà altro però questo “altro” adesso non c’è e il Movimento può favorirne la nascita o evolvere in esso. A patto che si renda conto che la massa non va contrariata ma neppure accontentata: va coinvolta, ispirata, guidata, emancipata; va invitata alla politica ed educata alla politica perché senza politica vige la legge della giungla e del più forte, ovvero di chi possiede più soldi e dunque più televisioni e giornalisti.

Come sta dimostrando uno dei casi più ributtanti della nostra Storia, la resa dello Stato ai Benetton: cose che succedono e succederanno sempre più spesso fin quando invece di indignarsi contro i veri padroni del mondo, cioè i miliardari e le celebrity, la gente indirizzerà il suo scontento contro lo Stato, contro la politica (senza distinguere fra politici onesti e politici corrotti, “tanto sono tutti uguali”), contro le piccole e medie imprese, contro il sistema pubblico, che ha tanti difetti ma resta infinitamente migliore di quello delle multinazionali private.