(Tommaso Carboni – lastampa.it) – I laboratori di massima sicurezza, cioè quelli che svolgono le ricerche biologiche più pericolose, si sono moltiplicati in giro per il mondo negli ultimi dieci anni – espandendosi anche in paesi dove gli standard di controllo non sono adeguati. Gli scienziati avvertono che questa proliferazione e l’eventuale fuoriuscita di un agente patogeno rischiano di causare una nuova pandemia.

È quanto emerge da un ampio studio condotto da esperti in guerra batteriologica e sicurezza internazionale, di cui ha dato notizia pochi giorni fa anche il Financial Times. Secondo il report, esistono nel mondo (o sono in costruzione e pianificazione) almeno 59 strutture dove si trattano agenti patogeni di rischio 4 – estremamente infettivi e pericolosi per l’uomo. Queste strutture – diffuse in Europa, Nord America, Asia, Australia e in tre paesi africani: Gabon, Costa d’Avorio, Sud Africa – comprendono anche l’ormai notissimo laboratorio di Wuhan, al centro di una nuova inchiesta da parte degli Stati Uniti sulle origini del Covid-19.

A dimostrazione della crescita rapida dei laboratori di massima sicurezza c’è un dato incluso nel report: delle 42 strutture BSL-4 di cui si conoscono i dati di progettazione, almeno la metà è stata costruita nell’ultimo decennio. 

L’altra informazione rilevante è che il 75% dei laboratori è situato in centri urbani. Non tutti però sono attrezzati al meglio per gestire ricerche scientifiche così delicate. Secondo il Global Health Security Index, poco meno di un quarto dei paesi con laboratori che operano al massimo rischio biologico hanno livelli “elevati” di preparazione alla biosicurezza. Circa un terzo, tra cui la Cina, ha livelli “medi”, mentre il 41% ha livelli “bassi”, come il Sudafrica. È appunto l’inadeguatezza dei controlli a preoccupare gli scienziati. Non è inverosimile, spiegano, che un virus o un batterio pericoloso possano fuoriuscire da laboratori mal sorvegliati e causare un’altra pandemia.   

Del resto piccoli incidenti capitano anche in strutture gestite a regola d’arte. Dall’ultimo rapporto del Dipartimento della salute degli Stati Uniti è risultato che nel 2019 diverse tossine e altri materiali pericolosi sono stati “smarriti” 13 volte e rilasciati per sbaglio ben 219 volte. Tutto ciò ha costretto almeno mille persone a sottoporsi a visite mediche e assumere farmaci preventivi, anche se poi nessuna di loro si è ammalata. La sorveglianza americana è molto aumentata dopo la crisi dell’antrace del 2001 – quando il batterio, probabilmente trafugato da un laboratorio dell’esercito, provocò la morte di cinque persone. 

I riflettori oggi sono comunque puntati in gran parte sulla Cina, che negli ultimi anni ha voluto rafforzare molto la sua capacità di ricerca scientifica – e per questo ha costruito nuovi laboratori in cui si studiano e manipolano virus e altri agenti patogeni. Ad esempio: solo nella provincia di Guangdong, il governo vuole inaugurare nei prossimi cinque anni da 25 a 30 laboratori di livello di biosicurezza 3 e un laboratorio BSL-4, cioè di massima sicurezza. I controlli però non sono sempre adeguati. E sono gli stessi funzionari cinesi ad averlo più volte segnalato. Un caso lampante è stato la fuoriuscita di un batterio da un impianto di vaccini a novembre 2019, quindi un mese prima dell’inizio ufficiale della pandemia: più di 6.000 persone nel nord-ovest della Cina si sono contagiate con la brucellosi, una malattia batterica con sintomi vicini all’influenza. 

Sempre nel 2019, il direttore dell’istituto di virologia di Wuhan, Yuan Zhiming, denunciò apertamente le carenze di sicurezza nei laboratori cinesi. Yuan si lamentava di finanziamenti insufficienti per garantire standard di protezione corretti. Stessa cosa ha fatto Bai Chunli, ex presidente dell’Accademia cinese delle scienze, che in un articolo scritto l’anno scorso ha messo in guardia dalle palesi inadeguatezze dei laboratori cinesi. C’è da dire che Pechino, almeno in parte, ha reagito; con una nuova legge approvata nel 2020 per rafforzare gli standard nazionali di biosicurezza. 

Ma le attività dei laboratori cinesi, denunciano ancora molti scienziati, restano poco trasparenti. Un esempio su tutti: a gennaio dell’anno scorso, Pechino ha diramato un ordine perentorio a tutte le strutture che trattavano campioni di Sars-Cov-2, stabilendo che prima di rilasciare qualsiasi informazione sul virus sarebbe stato necessario il permesso del governo centrale. Questo tipo di segretezza rende difficile capire quanto siano sicure le strutture cinesi. “Quello che abbiamo visto finora in relazione all’Istituto di virologia di Wuhan è un laboratorio che non è aperto e trasparente sul tipo di lavoro che sta facendo”, ha detto Filippa Lentzos, docente al King’s College di Londra (uno degli autori dello studio citato dal Financial Times).