(Gabriella Cerami – huffpost) – La sfinge Ale. Il Dibba che Che e non Che. Il più guerrigliero dei 5Stelle, ormai ex, il Guevara della rivoluzione infinita sta prendendo la rincorsa per la sua nuova stagione politica, così dicono sia quelli che tifano per lui contro “i carrieristi” stellati (copyright Casaleggio junior) sia quelli che nel Movimento non lo hanno mai troppo amato. Tra loro ci sono ormai coloro che insieme a Giuseppe Conte preparano un M5s versione filo Draghi e filo Pd.

Alessandro Di Battista non ha fretta. L’altro giorno, nell’evento commemorativo per Gianroberto Casaleggio, ha detto che ha lasciato M5s senza alzare troppo la voce e impugnare troppo le armi. E questa potrebbe essere una mossa tattica perché l’ex deputato ha una strategia alternativa a M5s. Strategia che si basa sul tempo e sulla non volontà di usare le armi pesanti. Chi parla con lui assicura che “Alessandro vuole vedere l’esito della nuova leadership di Conte” contro il quale non ha nulla di personale, anzi lo stima, ma ritiene difficilissimo il successo per la nuova creatura che l’ex premier sta cercando di mettere in piedi.

Il primo test a cui Di Battista guarderà con molta attenzione è quello delle comunali di ottobre e soprattutto dei numeri che farà nelle varie città l’alleanza tra M5s e Pd che è proprio quella che lui fin dall’inizio ha contrastato. Particolare importante: i rapporti con Beppe Grillo, il quale non solo è lo sponsor di Conte, ma ormai da anni è il governista più convinto e l’assertore dell’incontro con i dem, non si sono guastati sul piano personale, grazie a una esperienza comune e a un vicendevole affetto. Chi li conosce bene entrambi sostiene che i due potrebbero ritrovarsi e che Beppe Grillo, ormai smaliziato politico, avrebbe in testa un piano di questo tipo: il ritorno dell’ex deputato combat nel caso il tentativo contiano non riesca. A quel punto potrà tornare in auge una riaffermazione del grillismo originario e identitario, sul quale non a caso il fondatore ancora insiste, basti vedere lo stop alla proroga dei due mandati e la ribadita non appartenenza alla desta e alla sinistra.

Di Battista fa il temporeggiatore. In fondo Conte ha davanti una traversata nel deserto lunga due anni. Casaleggio lo vorrebbe subito in campo apertamente insieme a lui e non a caso lo ha scelto come star del ricordo del padre Gianroberto. Gli ex colleghi che hanno fondato “Alternativa c’è” lo vorrebbero – non tutti – dalla propria parte se non altro perché Di Battista ha una notorietà e un seguito sui social e nella base del grillismo superiori a quelli di chiunque altro.

Nell’attesa l’ex deputato M5s, che studia da leader, si dedica a quello che dice essere il suo lavoro da sempre: scrivere. Uscirà il suo quinto libro a cui sta ancora lavorando. Dovrebbe essere nelle librerie a metà giugno, edito da Paper First. Non sarà autobiografico come i precedenti, sarà piuttosto fortemente politico. Chi ha avuto modo di visionare le bozze non ha dubbi, tutto ruota intorno a questa fase che l’Italia sta vivendo. Nelle sue chiacchierate e nei suoi post Di Battista non fa altro che sottolineare come, in questo momento storico, non ci sia un’opposizione. Fratelli d’Italia fa quella che l’ex M5s definisce “un’opposizione elettorale”. Il suo, insomma, vuole essere “un pensiero differente”. Non ci sta a vedere Mario Draghi che viene “osannato, santificato, paragonato al Messia”, quindi nel libro viene raccontato il passato del presidente del Consiglio, dal punto di vista di chi scrive ovviamente, descritti quelli che Di Battista considera i “suoi sponsor, i suoi errori, il perché sia stato scelto come premier”.

La versione di Di Battista è quella in cui il non politico Draghi in realtà è politicissimo e garante dei vecchi assetti. Come ultimo baluardo di un sistema di cui il premier è il prodotto e di cui vuole essere il nuovo garante. L’ambizione del Che, ma che anche non Che, è di farsi testimonial e stratega del fallimento del ritorno dei partiti. In una fase in cui si sente ripetere sempre che il populismo è finito, Di Battista si propone in controtendenza come il simbolo di un populismo che lui ritiene buono, di un allargamento della partecipazione democratica (e qui con Casaleggio junior vanno a braccetto) che si basi sulle nuove tecnologie. Mentre i suoi ex amici scaricano sbrigativamente il mito di Casaleggio padre, lui proprio da quello vuole ricominciare. Infatti ripete sempre: “Gianroberto era quello che meglio di tutti sapeva leggere e interpretare il futuro”.

Guarda caso è la stessa posizione che ha Virginia Raggi, anche lei scelta da Casaleggio junior come partecipante all’evento commemorativo del papà mentre Luigi Di Maio era in viaggio da ministro negli Stati Uniti e Roberto Fico si è limitato a un tweet. La sindaca di Roma è in rapporti a dir poco freddi con il Movimento, che non voleva ricandidarla e adesso la considera una pietra di inciampo (copyright Enrico Letta) nel rapporto con il Pd. Nessuno, neanche Grillo è riuscito a stoppare la corsa di Virginia, e ora bisognerà vedere come andrà. Se dopo il voto romano Raggi non si sintonizzerà veramente sull’alleanza giallo-rossa, la sirena Dibba si illuminerà ai suoi occhi e i due potrebbero costituire un tandem estremamente capace di rivolgersi a tutto quel mondo del grillismo delle origini nel quale anche Virginia tuttora trova molti consensi.

Il primo libro di Di Battista, “A testa in su”, era un racconto di viaggio nella sua passione politica. Era una sorta di diario della motocicletta di un Di Battista, pieno di venature sudamericane, che riverniciava il mito rivoluzionario di Che Guevara. Il libro successivo, “Meglio liberi”, era una lunga lettera a suo figlio sul coraggio di cambiare. Un racconto di intimità ma anche di comunità. Nelle cui pagine si leggeva, per esempio: “Voglio insegnare a mio figlio a essere libero e, come diceva Gianroberto, gli esempi sono più importanti delle parole. Posso insegnarglielo solo restando libero io”.

Ora l’ex deputato si sta godendo la sua libertà e la sua famiglia, da poco è nato il suo secondo figlio. Ha rotto ma in maniera ricomponibile i suoi legami politici con il Movimento da cui proviene e il libro in uscita vuole essere il manifesto politico dell’età adulta di un personaggio sempre percepito come un forever young, ma ora più convinto che mai che la ricreazione è finita. Un post grillismo che ha fatto tesoro degli errori di questi anni e che crede in un ritorno al futuro non basato sull’approdo agli schemi da vecchio partito a cui sembrano guardare i pentastellati. Punta invece a un nuovo coinvolgimento degli elettori in una banda larga che sappia guardare la società più che il Palazzo. Questi sono i ragionamenti del Dibba. Ma Che?