(Giuseppe Di Maio) – Tra le tante balle della stampa italiana serva, cioè quasi tutta, spicca quella della crisi della politica che ha causato la caduta del Conte II. A corredo della prima balla c’è n’è un’altra: il genio di Renzi che ha portato brillantemente a termine la missione. Mah! Genio? Che c’è di geniale in un sicario che si può permettere anche il lusso di non colpire alle spalle, tanto ha tutte le carte del mazzo. Uno che può colpire in pieno petto, e si può permettere anche gli sberleffi in faccia alla vittima costretta fino all’ultimo a fingere di credere alle panzane dell’assassino. Semmai è una crisi di sistema. Se crisi si può chiamare quella di un ordine che è nato proprio per sostenere l’instabilità della politica a garanzia dell’interesse privato.

Quando nel ’46 si costituì l’assemblea costituente per rimediare a una carenza italiana di fronte alla maggioranza dei vicini europei, si compì un’operazione ardita frutto maturo della civiltà italica. Il risultato di maggior rilievo fu lo straordinario equilibrismo tra le anime che vi parteciparono. La cattolica, la liberale, la socialista, così come da manuale di storia, queste le anime che confluirono nel dettato costituzionale. Ma il pericolo che la Costituzione, almeno nei suoi principi fondamentali, divenisse un abile esercizio retorico possibile solo all’inverecondo spirito nazionale, fu la minaccia costante che non si è dissipata ancora col tempo. Entrarono nella Costituzione le contraddizioni nazionali, le libertà private, i sogni elitari e le speranze collettive, entrarono il peso della disuguaglianza di classe e il motore della sua produzione. Entrarono la corruzione del sistema e l’instabilità programmata.

Le speranze collettive ebbero sonanti enunciazioni che rimandavano a vaghi compiti della Repubblica il dovere di adempierle; i sogni elitari si spensero nella maglia delle molteplici garanzie; e solo le libertà private ebbero il dettato più esplicito. Tutto il contesto segnava le procedure, i riti della democrazia a salvaguardia della procurata instabilità. E ci si guardò bene di mettere la legge elettorale in Costituzione, affidando a poche righe la momentanea intenzione proporzionale. La fotografia della nazione era entrata nella legge fondamentale, tutti erano stati rappresentati. Gli istituti di garanzia cominciarono ad entrare in conflitto, e il “caso” italiano divenne celebre nel mondo. Dire all’estero: in Italia è caduto il governo, non fece più notizia.

Ecco: i pesi, i contrappesi, le garanzie, la legge elettorale a uso e consumo dei partiti, e poi fuori della Costituzione una classe inamovibile di burocrati, di padroni del comparto pubblico, tutti insieme costituirono un sistema incapace di rifondarsi da sé medesimo, incapace di rappresentare la volontà generale, di subire il tempo della sua rivoluzione. Il timore che si potessero ricreare gli sbilanciamenti istituzionali che permisero l’affermazione del Fascismo, ha costituito un sistema bloccato, soffocato dalla ridda di voci confliggenti che neutralizzano l’azione amministrativa.
Ecco perché l’agognata rivoluzione a 5 stelle sta evaporando, ecco perché gli aneliti di giustizia e libertà continuano ad infrangersi sugli assetti conservatori e reazionari del blocco sociale italiano. E va bene, il trentenne Luigi Di Maio e i suoi consiglieri non hanno capito che bisognava far rigare dritto la stampa e depotenziare la sua attività partigiana. Ma come vi permettete di ritenere genio una pustola marcescente fiorita nel sistema bloccato del paese, come vi permettete di tirare in ballo i limiti della politica e della democrazia per nascondere i desideri espliciti dei padroni?