(di Antonio Padellaro – Il Fatto Quotidiano) – L’impressionante collage “dadaista” sul giornalismo in ginocchio davanti a Mario Draghi (e ai suoi cari) raccolto l’altroieri su queste pagine da Daniela Ranieri (“Coraggioso. Umile. Asciutto…”) suscita un interrogativo lancinante: perché? Un paio le risposte possibili ma non esaustive. La prima spiegazione, forse sommaria ma inevitabile, è la cupidigia di servilismo. Ovvero, l’impulso incontenibile alla sottomissione e senza che lo abbia ordinato nessuno. Dubitiamo infatti che il premier incaricato abbia necessità di uniformare l’informazione ai suoi voleri poiché già da tempo le redazioni unificate, nell’attesa dell’Avvento si erano posizionate, e del tutto spontaneamente, a 90 gradi. Un fenomeno davvero straordinario che ripropone la domanda di cui sopra: perché mai? Causa il breve spazio di questa nota, rimandiamo a una celebre citazione del sociologo Alain Accardo sulla patologia del riconoscimento sociale dei giornalisti (e sul rapporto ambiguo dominanti/dominati) definita sindrome di Madame Bovary. In parole molto povere, il nome Draghi richiama oggi il mito della eccellenza nella competenza cui noi disgraziati scrivani, abituati a lavorare sull’urgenza e l’approssimazione, deferenti ci inchiniamo.

Può esserci poi una spiegazione più terra terra che chiameremo del Marziano a Roma. Nel racconto di Ennio Flaiano, quando l’alieno Kunt atterra nei pressi di Villa Borghese, la sua presenza desta grande scalpore tra i cittadini e i media e di lui si parla come di un prodigio a cui affidare i destini della nazione, e forse anche dell’umanità. Purtroppo svanito l’effetto novità, i romani inizieranno a ignorarlo finché il marziano deluso tornerà sul suo pianeta. Sotto certi aspetti è lo stesso destino a cui andò incontro il senatore Mario Monti quando nel novembre 2011, succeduto a Silvio Berlusconi, fece i conti “con la salivazione a mille della stampa indipendente che da quando ha ricevuto l’incarico non fa che leccarlo dalla testa ai piedi” (Marco Travaglio). L’entusiasmo per la “sobrietà” del nuovo premier fu declinata in tutte le forme possibili finché immaginammo che anche il cane di Monti si comportasse con sobrietà canina, addestrato a recapitare ogni mattina al padrone una copia croccante del Financial Times e come lui provvisto di un cappottino invernale verde loden. Purtroppo, in seguito e del tutto immeritatamente, il destino del professor Monti ricordò quello del marziano Kunt, ragion per cui oggi trepidiamo per la sorte del professor Draghi. A cui raccomandiamo di continuare a occultare il bracco ungherese, ma anche le sue personali riflessioni sui media. E per meglio difendersi dalle maggioranze linguistiche (che oggi lo vogliono santo subito ma domani chissà) per favore non tolga mai la provvidenziale mascherina.