(Sergio Rizzo – la Repubblica) – Inutile prenderci in giro: l’ età dell’ innocenza era finita da tempo. Alla prova dei fatti i totem della purezza, del merito e dell’ onestà erano venuti giù come castelli di carte. Le nomine nelle aziende pubbliche fatte dai due governi Conte, sempre con il Movimento 5 stelle nei panni dell’ azionista di maggioranza, ci avevano regalato sprazzi di Prima Repubblica che non vedevamo da tempo. Con i grillini che ingoiavano di tutto.

Dai politici trombati, ai famigli, arrivando a manager sotto inchiesta per reati di corruzione internazionale. E tutto per portare a casa qualche poltroncina per ex compagni di scuola o candidati sfortunati alle elezioni comunali. Ma quello che si sta vedendo con la pattuglia dei commissari delle grandi opere supera ogni immaginazione: poco meno di un terzo di loro ha problemi con la giustizia.

Vero, c’ è chi è finito nei guai solo perché si tratta di un responsabile oggettivo, amministratore delegato di un’ azienda cui è capitato il dramma di un grave incidente ferroviario. Ma ci sono anche casi di dirigenti indagati perché secondo i magistrati non avrebbero fatto bene il proprio lavoro, contribuendo a determinare un disastro. Non mancano neppure professionisti pubblici che avrebbero asseverato progetti del concessionario Autostrade sul viadotto Morandi, poi crollato. E la loro “improvvisa” rimozione dalla lista non fa che dare forza a una domanda: sul serio si è stilato un elenco senza conoscere il curriculum giudiziario dei neo-commissari? Sul serio si vuole far passare tutto come una svista? Qualche nome, poi, fa tornare alla mente anche stagioni ministeriali non indimenticabili, quando comandavano i sopravvissuti di Tangentopoli. Casi arcinoti, che avrebbero dovuto suggerire a chi ha indicato i nomi dei commissari (il presidente del Consiglio? Il ministro dell’ Economia? Il ministro delle Infrastrutture?) una cautela maggiore. Per non parlare di un altro aspetto che fa oggettivamente riflettere, perché riguarda un altro di quei totem finiti sbriciolati. Ossia, il conflitto d’ interessi.

Non c’ è nulla di strano nel fatto che per le opere appaltate dall’ Anas siano stati nominati commissari dirigenti dell’ Anas? E che le infrastrutture messe a gara dalle Ferrovie dello stato vengano affidate a commissari scelti fra i manager delle Ferrovie? Il momento è difficile, certo.

Ma anche essendo sicuri, e non lo siamo affatto, che i commissari potrebbero davvero risolvere il problema delle opere che avanzano con il contagocce, di tempo per fare le cose seriamente ce n’ è stato abbastanza. Quei commissari erano previsti dal decreto sbloccacantieri approvato dal governo Conte-Di Maio-Salvini nell’ aprile 2019, e convertito in legge nel giugno successivo. Un anno e mezzo fa. A dimostrazione che in questo Paese la politica non è meno lenta dei cantieri. E sorvoliamo sui risultati.