(Giuseppe Di Maio) – Una volta fatte le regole della democrazia, l’Italia politica del dopoguerra ruotò attorno alle sue maggioranze parlamentari e ai suoi governi. Una lunga stagione che con l’eterno nemico comunista stabilmente all’opposizione, alternò le maggioranze democristiane nella formula di centrodestra per gli anni ’50, in quella di centrosinistra per gli anni ’60, e in quella pentapartito e ambidestra negli anni successivi. Insomma, via via che l’elettorato svuotava di consenso la “balena bianca”, essa imbarcava pezzi consenzienti della politica dei compromessi. Negli anni ’70, l’ultimo compromesso, quello “storico” con un partito comunista desistente e consociativo, permise a un governo Andreotti di liberarsi per poco dall’aggressione dei soci di governo.

Le formule con cui la DC e gli alleati ammantavano lo scopo di assicurarsi i maneggi governativi e gli stipendi parlamentari, sono durate fino a quella che chiamiamo “seconda repubblica”, cioè fino a quando cambiò la legge elettorale (Mattarellum), che sciolse l’elettorato dal torpore fedele del dopoguerra. Con l’irruzione del maggioritario sulla scena politica, cambiarono le alleanze e si intorpidì il pantano. “I patti biblici”, le alleanze preelettorali impossibili per Craxi e per i suoi equilibrismi, furono saldati da “la vittoria unisce” di Berlusconi che faceva affidamento su un elettorato esplicitamente reazionario. Le cose erano mutate: l’Italia non si governava più dal centro.

Eppure, l’ambizione di parte e/o l’interesse privato riuscirono a scombinare le alleanze. Bossi nel Berlusconi I, Bertinotti nel Prodi I, e Mastella e altri nel Prodi II, opposero degli obiettivi irrinunciabili, spesso incredibili, contro la sopravvivenza dei loro governi. Iniziò la stagione dei ribaltoni, dei transfughi, e dei responsabili. La legge elettorale volontariamente diversa per Camera e Senato mantenne l’instabilità, e ancor più la mancanza di riforme costituzionali tanto care oggi al M5S: come il vincolo di mandato e il recall. Purtroppo senza di questi l’intero parlamento resta composto da eletti che curano l’interesse di carica invece che quello dei cittadini. Allo stesso modo di Renzi, che col suo insensato richiamo alle regole, e la sua avversione alle “dittature”, intendeva proprio riaffermare il libero gioco della politica, svincolata dagli obblighi dei patti e a scorno del fine ultimo del bene comune.

Ora che l’establishment italiano è riuscito a trascinare i 5S nella politica, e a farli desistere dalle ambizioni di maggioranze assolute, il Movimento eredita tutto il malessere italico. Senza regole indiscutibili, qualsiasi governo e qualsiasi maggioranza sono alla berlina degli interessi personali o di bottega, e la pretestuosità delle idee e delle decisioni irrinunciabili maschera gli scopi dell’ordinaria lotta di classe. Chiunque può incolpare chiunque di irresponsabilità, sia che questi voglia il voto anticipato, sia che voglia durare nella legislatura. Chiunque può rispondere e accusare altri di tradimento dei programmi e di interesse privato. Gli unici antidoti restano solo le regole, che possano sempre permettere al popolo di controllare il mandato che un giorno aveva affidato ai suoi portavoce.