Bellanova-Bonetti: la profonda dignità delle statue di sale

(di Selvaggia Lucarelli – Il Fatto Quotidiano) – Davvero un capolavoro la lettera di dimissioni delle ex ministre Teresa Bellanova ed Elena Bonetti nonché del sottosegretario Ivan Scalfarotto (sotto-segretario, appunto, perché martedì, in conferenza stampa, tanto per citare un’altra famosa lettera, la sua faccia era sotto i piedi di Renzi senza chiedergli nemmeno di stare fermo).Un capolavoro che merita un’analisi più approfondita di alcuni passaggi, perché sarebbe davvero un peccato dimenticarli così, in tutta fretta, mentre veniamo travolti dai prossimi accadimenti.

Intanto l’incipit. “Signor presidente del Consiglio, la politica è la più alta e nobile forma di servizio”. Ma tu pensa. Si parte spiegando a un premier cosa sia la politica. Perché è il caso che non lo sappia, che magari Conte ritenga che sia uno sport acquatico. E poi: “Non è interesse di parte, non è ambizione personale”. Due ministre renziane che dicono “La politica non è ambizione”. È un po’ come se due ex seguaci di Osho dicessero “La spiritualità non è settarismo”.

A seguire, un altro passaggio favoloso: “Lasciare un incarico di governo richiede lunghissime, dolorose e assai profonde considerazioni”. Qui a seguire le lunghissime, dolorose e assai profonde considerazioni: “Pronto Teresa?”. “Sì?”. “Oggi io ti dimetto”. “Ok”.E ancora: “Abbiamo deciso di rimettere il nostro mandato in nome della dignità e della nobiltà della politica e della nostra libertà e responsabilità individuale”. Quella dignità e quella libertà che traboccavano, esplodevano, deflagravano mentre Renzi spiegava le dimissioni delle SUE ministre in conferenza stampa e loro, le ministre, fissavano gli stucchi veneziani. Poi: “Potremmo a lungo argomentare su moltissime cose che ci hanno lasciati perplessi: l’utilizzo ridondante dello strumento del Dpcm”. Ridondante. Una pandemia, ospedali al collasso, bare portate via dai camion, 80.000 morti e questo bullo di Conte si mette a utilizzare il Dpcm con ridondanza. Ma tu pensa. Avrebbe potuto utilizzarlo con un po’ più di parsimonia, in effetti, e magari ideare una strategia di contenimento del virus più moderata, delegandola che so, a Vittorio Sgarbi. Io per la terza ondata, nel caso, ci penserei.

Ma nella lettera c’è una dura accusa anche alle imperdonabili modalità di comunicazione del premier: “…l’eccesso di dirette a reti unificate durante la pandemia, l’utilizzo dei propri canali social personali rilanciati dalla televisione di Stato”. Be’, come non capirle, le ministre. Vuoi non far cadere un governo perché il premier fa qualche diretta su fb durante una pandemia?”.

Come ha poi detto la ex ministra Bonetti nella micro-frazione temporale in cui ha parlato: “Sono una donna delle istituzioni, il mio percorso da scout e da ministro porta a questo, alle dimissioni!”. Cercate di capirla. Una scout non può soprassedere, non può ignorare una deriva così dittatoriale, rischia di inimicarsi le piante, gli animali, l’amicizia dei cerbiatti e di tutte le creature di Dio. E poi un altro rimprovero a Conte, nella lettera: “(ci ha lasciate perplesse) la timidezza con cui si sono condannati i disordini di Washington e il loro mandante!”. Eh, “quel post era moscio” mi pare un argomento solido per fare gli scatoloni. Chissà come mai i buoni rapporti tra Trump e Conte non sono stati un timido impedimento per accettare i ruoli di ministro e sottosegretario, ai tempi.

E poi: “Possiamo altresì comprendere che la maggioranza dei cittadini possa non essere particolarmente interessata a temi di questo genere, ma…”. Che detto in parole povere vuol dire: “Reclamiamo attenzione su quel che non interessa agli italiani, come fa a ignorare questa nostra esigenza così altruistica e democratica?”. E infine, la spruzzata di retorica: “Signor presidente, la parola ‘potere’ per noi è un verbo, non un sostantivo”. Sì, noi-non-potere-dire-di-no-al-capo.

E guai a chi insinua che questa lettera sia una comunicazione fredda e impersonale, piena di argomenti pretestuosi e gratuiti che celano solo una indecorosa e acritica ubbidienza al capo. Si sente davvero che c’è qualcosa di intimo, di sentito, di loro – di Teresa, di Elena, di Ivan – in questa appassionata missiva: la firma. Forse.