(Giuseppe Di Maio) – Ci vogliono i nervi di acciaio, o forse di gomma, per non rispondere a tono a quel pezzo di rignanese bleso dallo scilinguagnolo irritante. L’hanno capito pure gli stolti: lui e i suoi non hanno nessuna remora, nessuna moralità. Anzi, proprio quando il momento si fa più delicato, quando dal senso etico dipende la vita: la salute e il futuro dei propri concittadini, loro sanno che proprio allora, nel loro personale monopoli, salgono le quotazioni delle proprie sostanze. Proprio allora, l’immoralità e la sfacciataggine, possono mettere con le spalle al muro il “merito paziente” e costringerlo a scambiare vicolo corto con parco della vittoria.

Renzi è un gatto attaccato ai coglioni, che sembra aver dato vita al governo per poterlo ricattare una volta avviato. Un Matteo che si è sostituito all’altro, invidioso del suo successo, che a sua volta aveva dato vita al proprio governo per poterne parlare male, per intestarsi i successi del partner. Un gatto, Renzi Matteo, della genia PD, banda che è al governo non per fare cose per gli italiani, ma per trovare poltrone per i suoi affiliati. Quante volte finora il rignanese ha già minacciato l’esecutivo di Conte? Quante volte s’è ritirato con la coda tra le gambe? Ma questa volta ha trovato gli italiani con la corda al collo, a cavallo tra la seconda e la terza ondata, la vaccinazione appena avviata, le linee guida del recovery solo tracciate, e poi una legge elettorale che potrebbe cancellare i gatti, l’elezione del Presidente della Repubblica alle porte. E’ il momento buono per attaccarsi alla responsabilità di altri, per crescere come una pustola purulenta sui loro sforzi.

Ma dove sono finite le nuove cose da fare, invece della mera gestione dell’emergenza? Persino l’Europa le attende. Dov’è il salario minimo, la legge sul conflitto d’interessi, le riforme costituzionali, la regolamentazione della stampa e delle emittenze?… Le grinfie del gatto sono uscite dagli alloggiamenti non appena i padroni dell’Italia hanno ordinato a Renzi di strattonare Conte e il suo programma. Non appena i soldi col loro odore hanno rischiato di passare sotto le narici dei prenditori senza fermarsi nelle loro tasche. Non appena la melassa piddina si è dimostrata incapace di arginare i provvedimenti contiani. Per lo stesso motivo i padroni di Roma hanno molestato e sabotato per anni Virginia Raggi e il Campidoglio. Adesso i padroni d’Italia, attraverso il loro gatto molesto vogliono sabotare palazzo Chigi.

E’ una guerra di nervi. Se a uno dovessero saltare, finirebbero i vertici chiarificatori e le mediazioni, e in Parlamento potrebbero arrivare leggi e programmi a cui s’impone la fiducia. E a decidere la sopravvivenza del governo sarebbe allora esplicitamente Renzi e non Conte. Ma questo significa rispondere ad azzardo con azzardo. E poi, quanto la mera parlamentarizzazione della crisi potrebbe essere utile a rendere chiare le cause e le responsabilità? Anche con quell’altro Matteo, per quanto ci siamo divertiti a vederlo annaspare tra i flutti delle sue asinate, manco allora il popolo ha capito una mazza. E manco adesso capirà niente. Sarà travolto dalle fesserie di un Matteo che accusa Conte di non essere democratico, e quelle dell’altro, che vuole mandare al voto la banda d’incapaci. Roba da non credere!

E poi ci lamentiamo che i misteri d’Italia vengono alla luce solo dopo secoli. Ma a che ci servono? Un popolo così non sa cosa farsene della verità. Come se da trent’anni a questa parte non fosse successo niente, continua a sperare nei ladri, nei mafiosi, negli emeriti fessi e nei violenti. E a votarli. Quando Giuseppe cadrà, sarà perché l’avvocato degli italiani è stato schiacciato dai padroni. E quando questo accadrà, gli verrà pure in mente di pensare che questo popolo se li merita tutti?