(Roberta Labonia) – In queste ore i politically incorrect Zingaretti e Calenda si dichiarano falsamente felici della ennesima assoluzione di Virginia Raggi.

La verità è che ora che “l’aiutino” da parte della magistratura non gli è arrivato, entrambi questi personaggi se la dovranno battere sul piano del merito. E francamente, contro di loro, fermo restando lo scenario attuale, Raggi se la giocherebbe facile.

Stesso scenario nel centro destra che altro di meglio non avrebbero trovato, al momento, che resuscitare il semi imbalsamato Guido Bertolaso, il pupillo di Berlusconi. Ma entriamo nel cosidetto “merito” e concentriamoci sul segretario del pd Nicola Zingaretti.

Ora che per il Pd un eventuale patto elettorale con i 5 Stelle su Roma sembra tramontato (salvo in extremis fare l’unica scelta intelligente di appoggiare Virginia Raggi, che appunto, proprio perché intelligente, non faranno), in mancanza di alternative, dovrà cercarsi un nome spendibile e soprattutto credibile che oggi non ha. Voci sempre più insistenti dicono che Zingaretti si vedrà costretto a mettersi in gioco in prima persona. Su Roma dovrebbe tentare la tripletta (dopo Provincia e Regione, puntare al Comune), ma la vittoria non se la porterebbe da casa.

La Provincia di Roma, il Zinga, l’ha governata male. E’ rimasta negli annali della Provincia di Roma (di cui la grande parte delle funzioni oggi sono in pancia al nuovo ente Città Metropolitana di Roma di gestione Raggi), la “sola” che s’è fatto rifilare, acquistando un palazzo all’Eur da adibire a nuova sede della Provincia, dal palazzinaro Parnasi, quello oggi assicurato alle patrie galere: ai romani questo incauto acquisto è costato un danno erariale che la procura della Corte dei Conti ha quantificato in 70 milioni di euro. Per il resto, la Presidenza della Provincia dell’attuale segretario piddino si è tradotta in un sequel di “taglio di nastri” senza costrutto, di cui lui, il Zinga, grande cerimoniere della Roma trafficona, è un esperto.

Per non parlare dello sfascio da lui operato nel servizio sanitario della Regione Lazio di cui è attuale presidente. Lui si vanta di averlo fatto uscire dal commissariamento. Ma non vi dice come: tagli indiscriminati di posti letto, chiusure di Ospedali (ahimè anche del prezioso Forlanini), da una parte, e convenzionamenti a raffica alla sanità privata romana dall’altra. Che manco Fontana e Formigoni insieme in Lombardia hanno osato tanto. Per non parlare dei “pacchi” a botte di milioni di euro che s’è fatto rifilare in questi mesi di pandemia nelle forniture di mascherine e DPI a causa di una centrale acquisti laziale dove regnano indisturbati personaggi che curano un solo interesse: il loro.

Pure li, il confronto con l’Aria” lombarda dei camici del cognato di Fontana impallidisce. Zingaretti, è un fatto, appartiene a quel pd romano che in Campidoglio ha condiviso la torta con Buzzi e Carminati. Il loro è un vero e proprio sistema di potere. Un apparato che si è intersecato, sopravvivendogli, a Mafia Capitale. Un candidato su Roma esente da questo stigma se lo dovrebbero andare a cercare su Marte. Ma uno che ne avevano, l’ “allegro chirurgo” Marino, che a liberare Roma, pur con scarse capacità, ci voleva provare, l’hanno dimissionato dal notaio.

E fin qui l’ “affresco” sommario di ciò che significherebbe per Roma il ritorno del pd romano in Campidoglio, da parte mia è compiuto.

Poi altro avrei da eccepire sugli altri 2 soggetti che al momento contendono o sembrano voler contendere palazzo senatorio a Virginia: Carlo “superbone” Calenda e Guido “resuscitato” Bertolaso. Altri 2 riciclati della seconda Repubblica. Ma magari, questi, me li riservo per prossima puntata.