(di Francesco Lenzi – Il Fatto Quotidiano) – Domenica e ancora ieri, Giuseppe Conte sembra aver chiuso definitivamente la questione Mes. Il premier ha seguito a grandi linee quanto dichiarato la scorsa settimana (e anche lui ieri) dal ministro dell’Economia, che si può riassumere in un concetto: lo Stato italiano, avendo pieno accesso ai mercati e disponendo di sufficiente liquidità, non ha alcun bisogno di ricorrere al prestito del Mes, la cui linea pandemica è stata invece “pensata in caso ci fosse stato un problema di liquidità per un Paese”. Concetto che però continua ad alimentare discussioni basate a volte su presunti benefici in termini di spesa per interessi, altre volte, non senza una certa dose di sciacallaggio, sulla possibilità di aver potuto evitare parte delle morti legate alla pandemia.

Ecco un riassunto dei nodi della questione.

I soldi del Mes servono solo per uno scopo preciso. Solo i costi sanitari legati direttamente o indirettamente alla pandemia possono esser finanziati ricorrendo al Mes. Sono inoltre spese che, con le parole di Gualtieri, “devono esser fatte comunque” e non dipendono quindi dal modo in cui vengono finanziate (Mes o Btp che sia).I soldi del Mes vanno nel debito pubblico. Come i fondi che lo Stato raccoglie sul mercato con l’emissione di titoli di Stato, anche quelli ricevuti dal Mes sono debiti e come tali concorrono al calcolo del debito pubblico.

Cambia la forma tecnica: un prestito nel caso del Mes; obbligazioni scambiabili sul mercato per i Titoli di Stato. Un’altra differenza è che il credito del Mes è privilegiato rispetto ai titoli e da ciò deriva un altro punto essenziale.

Il tasso di interesse del Mes sconta un rischio più basso. Il Btp a 10 anni paga circa lo 0,7% d’interesse annuo. Il prestito del Mes, con uguale scadenza, sarebbe invece erogato ad un tasso finito negativo, circa -0,15%. Stando così le cose il commentatore superficiale potrebbe quantificare in circa 300 milioni il risparmio annuo di interessi. Ma è appunto un conto sbagliato perché non considera il diverso rischio che le due forme di debito riconoscono al creditore.

Per il Mes, creditore privilegiato rispetto a tutti gli altri, il rischio che l’Italia non ripaghi il suo debito è zero. Per tutti i sottoscrittori di Titoli di Stato invece no.

Il rischio stigma. Ne aveva accennato un mese fa il governatore di Bankitalia Visco: nonostante i vantaggi del prestito Mes, “c’è il problema dello stigma, va affrontato in modo ragionevole e trasparente”. Questo problema lo potremmo definire di natura reputazionale. Ci si chiede in che modo la reputazione esterna dello Stato italiano potrebbe modificarsi se dovesse ricorrere da solo ai soldi del Mes. Il parallelo che si fa è con le linee di credito precauzionali del Fmi che spesso sono accompagnate da un danno reputazionale per gli Stati che ne richiedono l’attivazione. C’è poi anche un problema reputazionale interno, di natura prettamente politica, che potrebbe interessare il governo con l’accusa di volersi far commissariare dall’istituzione tecnocratica Mes. Calcolare il costo di questo stigma, peraltro, rimane un esercizio complicato.

L’Italia non ha problemi di finanziamento. Se anche il danno reputazionale fosse basso, verrebbe ugualmente da chiedersi come mai lo Stato debba accollarselo se non ha problemi di finanziamento. In questi mesi è capitato varie volte che le aste dei titoli di Stato ricevessero domande per “n volte” l’offerta. Stando ai dati dell’ultimo bollettino economico di Banca d’Italia la liquidità, la cassa, del Tesoro era superiore ai 100 miliardi di euro ad agosto (in aumento di 67 miliardi rispetto a dicembre).Riassumendo: il dibattito sul Mes doveva già esser chiuso da tempo.