(Giuseppe Di Maio) – In occasione di un acquisto su Amazon mi accorgo che da quasi due anni c’erano addebiti sconosciuti sulla mia carta prepagata. Gli addebiti parevano successivi all’attivazione di un abbonamento a mia insaputa, Kindl Unlimited. E non c’era prova che lo possedessi, né dunque ne avevo mai usufruito. Per ben 17 volte Amazon aveva prelevato denaro (9,99 euro) mensilmente dalla mia carta, senza che avessi potuto controllare volontariamente (come avviene in genere per gli altri pagamenti on line), col codice di tre cifre di verifica cvc/cvv. Gli ultimi addebiti erano risultati inesigibili, poiché durante la quarantena non ero potuto uscire a ricaricare la prepagata.

Appena accortomi del fatto, ho disattivato la carta e l’impiegato mi ha fornito i moduli per il disconoscimento degli addebiti. Alla Polizia postale, l’operatore mi suggerisce di contattare prima il servizio Amazon che, a dire il vero, ha immediatamente accettato la richiesta e disposto il rimborso delle mensilità arretrate, ma solo di un anno. Cioè, solo 10 rimborsi, in considerazione delle ultime due rate inesatte. Ma non vedo la logica di dover essere rimborsato solo di alcuni addebiti e non di tutti, una volta accertati gli illeciti pagamenti. E, sia che altri abbiano violato l’account e abbiano attivato a mio nome questo abbonamento, o che io stesso con una semplice spunta su un banner abbia acconsentito inavvertitamente ad un servizio che si rinnova automaticamente e che non dà la possibilità di controllo dei pagamenti, il fatto è a mio parere gravissimo. Una cosa che pare succeda troppo spesso, come testimoniano altri utenti.

Ora, con la carta originale disattivata, non potrei più ricevere nemmeno le misere royalties di due miei testi pubblicati con Amazon qualche anno fa. Purtroppo la polizia postale non riscontra illeciti, sostenendo, e senza battere ciglio, che è diritto di Amazon prelevare senza codice di verifica. L’associazione consumatori, prima ancora di qualsiasi azione, fa conoscere le sue tariffe a seconda del danno ipotizzato. E, nel mio caso, le sue tariffe sono assolutamente inadeguate all’impresa.

Allora siamo sudditi. Di aziende che non pagano nemmeno le tasse in Italia. Che pagano una miseria allo Stato in cui ricevono profitti miliardari, e dove, con ogni probabilità, tengono a stipendio l’inerzia di qualche legislatore. L’accordo tra Google ed Amazon di certo è servito per lo scambio dei dati dell’utenza. Uno memorizza i dati con una spunta, e l’altro se ne serve per creare addebiti involontari. Per conto mio non posso far altro che disabilitare i cookies e bloccare Amazon e i suoi “servizi”.