(di Gad Lerner – Il Fatto Quotidiano) – Nel mentre che Attilio Fontana portava avanti la sua grottesca autodifesa di presidente riccone che risarcisce di tasca sua il cognato con fondi custoditi all’estero, dai banchi della maggioranza i consiglieri leghisti agitavano drappi con lo stemma della Lombardia inneggiando all’autonomia regionale.

Peccato che il loro leader Salvini, quando ha impresso alla Lega la svolta nazionalista, per forza di cose sia stato costretto a rinnegare quelle medesime istanze autonomiste. Non le ha perseguite quando stava al governo, né le ha riprese ora che sta all’opposizione.

Ben presto i leghisti si renderanno conto che per saziare il suo delirio di onnipotenza, Salvini ha inferto al leghismo una fatale mutilazione: non può esistere infatti un partito, tantomeno di governo, che non esprima un suo progetto di Stato. La Lega ce ne aveva uno, inscritto addirittura nel primo articolo dello statuto (mai abrogato): l’indipendenza della Padania. Velleitario ma chiaro. In seguito attenuato nel progetto federalista della devolution

. Anch’essa, per quanto discutibile e probabilmente inadatta all’Italia, era una riforma degli assetti istituzionali ben definita.

Da quando si è posto l’obiettivo di conquistare l’elettorato meridionale (peraltro senza riuscirci), Salvini si è disinvoltamente sbarazzato delle finalità originarie del suo movimento. Ha puntato a costruire un grande partito di destra, per sua stessa natura centralista, ergendosi a difensore dei sacri confini della nazione e ostentando un falso patriottismo che è l’esatto contrario dei sentimenti campanilistici di cui si è sempre nutrito il leghismo.

Ora deve fronteggiare al tempo stesso il fallimento della sua classe dirigente lombarda e la concorrenza di una vera sovranista qual è Giorgia Meloni. Un partito sprovvisto di un’idea di Stato non va molto lontano.