(Marcello Veneziani) – Eccoli, a piede libero e mente prigioniera. Fanno tenerezza gli italiani come animali spaventati che si riaffacciano all’aperto guardinghi e mascherati, fuggitivi, pronti a evitare ogni vicinanza o assembramento. Portano finalmente a spasso l’animale che si portano dentro e che era dentro fino a ieri, con la minaccia di tornarci domani. Vivete l’oggi perché del doman non c’è certezza.
Perché insisto a definirli, a definirci animali? Perché l’effetto crudo di questa lunga quarantena e dei presagi funesti che avvelenano la libera uscita, è la riduzione dell’uomo, del cittadino, del pensante e del credente, a puro animale. Il contagio, la quarantena, il terrorismo mediatico-governativo ci hanno ridotto alla sfera della nuda vita. Nient’altro siamo in questo momento, e qualcuno inneggia al fatto che il virus ci ha resi tutti uguali. Uguali perché ridotti alla sfera animale dei bisogni. Uguali come animali, privi di parola e di visione, di fede e di pensiero, di creatività e ricreazione.

In fondo la restrizione più profonda, non la più dolorosa ma la più profonda, è proprio quella dello sguardo e della nostra mente. In due mesi abbiamo perso tutto ciò che vagamente chiamavamo spirito, cultura, intelligenza, gusto del vivere. Niente messa e niente chiesa, niente mostre e niente arte, niente dialoghi e niente librerie, niente cinema e niente teatro, niente concerti o sport. E anche ciò che abbiamo la facoltà di fare stando a casa, come leggere e pensare, in fondo non l’abbiamo fatto, impegnati a salvaguardare la pelle, a fare esercizi di ginnastica, poi incollarsi al video per non pensarci, per non pensare. Le attività sociali e conviviali legate alla sfera alimentare sono state sterilizzate e separate dai bisogni fisiologici: file per i generi alimentari, ai supermercati, alle farmacie, tutto ciò che attiene la vita animale, il corpo, mangiare, bere, curarsi. E tutte separate dalla sfera conviviale. Anche il cibo da asporto, è la riduzione a nuda vita del nutrirsi, a patto di non stare insieme, non avere compagni (cum-panis) di cena. La riduzione biologica è stata anche riduzione individuale, solo atomi in solitudine. Rispetto agli animali abbiamo perso il branco e l’aria aperta.
La restrizione mentale è stata adottata e accettata per precauzione, per giusti motivi sanitari; per tutelare i corpi, per salvaguardare la “nuda vita”, come dice Giorgio Agamben. Senza accorgercene abbiamo optato per la pura dimensione biologica della nostra vita, azzerando ogni altra dimensione. “Propter vitam vivendi perdere causas”, diceva Giovenale; ovvero, per salvare la vita perdiamo le ragioni della vita stessa. Per conservarci biologicamente smettiamo di curarci dei motivi che rendono la vita degna di essere vissuta. Tra cui la religione, il pensiero, l’arte, la scienza (se non quella balbettante, applicata alla salute), la fede, la comunità, la politica. E le grandi agenzie spirituali, a partire dalla Chiesa, si allineano e danno la precedenza alla pura vita, alla difesa dell’animale. Meglio un animale sano che un santo malato.
Pure la politica è scomparsa, o quantomeno è sospesa. Al suo posto c’è quella che Georges Bataille e poi Michel Foucault chiamarono Biopolitica. Ossia la politica applicata alla sfera dei corpi e alla loro salute. Anzi, a essere brutali, più che biopolitica chiamiamolo biopotere, ossia potere assoluto nel nome della vita e della morte; ogni procedura, ogni restrizione, ogni divieto è ammesso per salvaguardare il bene supremo, che non è salus populi, la salute del popolo ma di ciascuno. È il potere che garantisce la vita, basta seguire scrupolosamente le norme indicate. Il potere bio-totalitario riesce a isolare i cittadini e li induce a optare tra la vita e la morte. Ho già criticato nel merito queste norme, le intenzioni, i calcoli e i profitti, il terrorismo psicologico che le accompagna e la strategia del protrarre.
Ma non è di questo che sto ora parlando. È l’impoverimento della nostra vita ridotta a fisicità. Tosse, starnuto, prelievo, corsetta, controllo, tampone, mascherina: un ventaglio di paradigmi e di prescrizioni fisiche ha sostituito il nostro lessico, riducendolo solo alla sfera corporale.
Condivido la previsione di Michel Houellebecq che la pandemia non produrrà capolavori. Anche se tutti speriamo in uno solo, la scoperta del vaccino; ma torniamo alla riduzione biologica della vita.
In un’epoca tecnologicamente avanzata come la nostra, la biopolitica tende a farsi psicopolitica, come sostiene il coreano Byung-Chul Han, ossia il potere che plasma e seduce le menti; ma col contagio la seduzione ha ceduto il passo a una più perentoria e brutale prescrizione, anche se il procedimento mentale innescato è sempre lo stesso: interiorizzare le norme del sistema perché servono alla nostra sopravvivenza. È inquietante l’incipit del filosofo coreano: “La libertà sarà stata un episodio”, cioè solo una fase di passaggio. Perché la libertà ha senso se è relazione, se è comunità, altrimenti è solo spazio vuoto, prigione senza muri. E poi aggiunge che il segno della nostra servitù è il passaggio dal raccontare al contare. Contano solo i dati, non le storie. È la dittatura del numero, di cui la Cina, con le sue tecnologie, è l’alfiere.
Il lascito peggiore di questa pandemia sul piano della dignità umana, è proprio questo immiserirsi del nostro orizzonte, piegati a difendere la nuda vita. E naturalmente non con l’inavvertenza, l’incoscienza, il puro istinto dell’animale, ma con la paura, il timore di essere catturati dal virus, il rifiuto del prossimo che si fa remoto, come i morti e il passato che non torna più. Eppure era bella ieri sera la luna piena nel cielo pulito e sul mare proibito di maggio…
La Verità 8 maggio 2020
La bruttezza del momento è innegabile, ma è una catastrofe e di regola nelle catastrofi difficilmente ci trovi qualcosa di bello, se poi ci metti che altro non è che la diretta conseguenza di azioni perpetrate nel tempo, di persone pre virus, cioè di quando tutto era bello e perfetto.. vero né?
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Ma come suggerivano Hansel e Gretel, è pure periodo di “Polpi” ,
e Bisceglie Stann
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Caro Marcello Veneziani, non so se sia stato opportuno scrivere lirica per la pandemia che ci ha colpiti all’ epoca presente, siccome in quelle passate altre hanno colpito ripetutamente e piu’ duramente diverse generazioni, fino a quella della Spagnola. Per non parlare, in tema di reclusione forzata, delle 2 assurde guerre del secolo passato, che nella prima ha costretto milioni di soldati a vivere per anni nelle trincee , come topi terrorrizzati, in situazioni igieniche inaudite, e nella seconda ha portato milioni di cittadini , in UK come in Italia ,a dormire ammassati nelle cantine sotterranee per anni, per difendersi dai bombardamenti sulla popolazione civile; e hanno dovuto anche loro rinunciare a comunicare liberamente con il prossimo , per timore della delazione politica . Ancor peggio fu che qualche milione di Ebrei furono costretti a nascondersi per anni presso amici e conoscenti Cristiani, o nei conventi, e che molti di piu’ furono rinchiusi nei lager nazisti , costretti a vivere non da animali, come lei vede i reclusi del Covid-19, bensi’ da puri spiriti , perche’ sublimati a tale stato superiore dell’ essere umano , da sofferenze ineffabili , ma purtroppo ancora con i piedi su questa terra ; molti di loro italiani, con l’ avallo di quel criminale di Mussolini , che fu il primo a tradire lo stesso sistema fascista , con le leggi razziali, o quando fece fucilare i dissidenti del Gran Consiglio, dopo aver fatto distruggere, con le sue deliranti dichiarazioni di guerra a destra e a manca, quell’ Italia che i veri fascisti , quelli animati da un alto senso dello stato, del dovere e del lavoro, in pochi anni, avevano saputo costruire, al cospetto incredulo del mondo intero ; tra i reclusi che oggi passano le pene dell’ inferno, vanno ricordati anche quelli nei campi libici, perche’ l’ ONU , che si e’ sempre mobilitata per intervenire dappertutto, anche per il peto di un dittatore , non vuole mettere sotto la sua protezione i campi profughi in Libia e poi aiutare quei
miserabili a tornare nelle loro terre di origine, sotto la sua scorta. Pertanto , non credo che abbiamo passato situazioni da melodramma , siccome non ci e’ mai mancato il cibo, l’ acqua, la luce, la radio, la TV, l’ assistenza sanitaria, la Pubblica Sicurezza etc.. e abbiamo potuto comunicare con parenti ed amici, anche in audiovisivo.
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Non è che prima della pandemia si era così migliori da aver fatto un salto nello strapiombo :da umani ad animali in pochi mesi e il senso del gragrio c’era anche prima, solo era mascherato da abitudini civili, situazioni varie che personalmente non riesco a define sociali, forse al metro di una socialità di convenienza di spirito aggregativi e di cortesie, per non scendere nelle informi multitudini di un passeggio, di uno shopping o di un disco pub.
La semplice e conviviale socialità forse è rimasta in quei brandelli di un passato ormai remoto, come le veglie, ancora in uso e in vita in alcune aree, specialmente dell’entroterra peninsulare e isolano, per il resto scrivere che prima della pandemia si era più umani forse significa più chiocci, più creduloni e questa storia ha aperto gli occhi su di un mondo malato, su un uomo già malato non solo di potere ma anche di solitudine e se la solitudine è interiore è difficile che si possa colmare pur con tutta la socialità del mondo compresa quella tecnologica.
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