Questo schema lo conosco bene. Non riguarda solo chi viene arrestato (Hannoun e altri otto), ma un’intera comunità, la mia, che viene sorvegliata, criminalizzata e resa vulnerabile

(Dalia Ismail, Giornalista indipendente – ilfattoquotidiano.it) – Il 27 dicembre sono svegliata con una notizia che mi ha tolto il respiro. Non so spiegare esattamente cosa provo: non è solo rabbia, non è solo paura, non è solo stanchezza. È lo shock di capire, ancora una volta, che non importa quanto tu provi a vivere normalmente, a studiare, lavorare, prendere parola, e men che meno che il genocidio è sotto agli occhi di tutti: per questo Stato resti sempre un corpo sospetto.
L’arresto di Mohammad Hannoun, presidente dell’Associazione dei Palestinesi in Italia, insieme ad altre otto persone palestinesi e di altre nazionalità arabe e di religione islamica per presunti finanziamenti ad Hamas, non è avvenuto in un giorno qualunque. Sono state eseguite all’alba, la mattina successiva alle festività natalizie. Il momento in cui tutti – noi compresi – abbassiamo le difese. Quando le reti di supporto sono più fragili, quando ci si illude, anche solo per pochi giorni, di poter respirare.
Non è un caso, a mio avviso. È una tecnica. Durante le festività natalizie gli studenti, che sono tra i principali soggetti della mobilitazione per la Palestina, tornano nelle loro città di origine. Le piazze si svuotano, le persone si disperdono, la capacità di risposta collettiva si indebolisce. È in questo contesto che la repressione colpisce più facilmente: quando siamo divisi.
Io sono palestinese e questo non è il primo risveglio così. Questo schema lo conosco bene. Non riguarda solo chi viene arrestato, ma un’intera comunità, la mia, che viene sistematicamente sorvegliata, criminalizzata e resa vulnerabile. La responsabilità di ciò che è accaduto ad Hannoun e alle altre persone coinvolte non può essere letta come un fatto isolato: si inserisce in un clima politico e mediatico che da anni legittima una narrazione islamofobica, tracciando linee divisorie tra musulmani “accettabili” e “pericolosi”, tra palestinesi “innocui” e “sospetti”.
In questi anni, a terrorizzarmi non è stato Hannoun. Non è stato Shahin. Non è stato Yaeesh. A terrorizzarmi sono stati Israele e gli italiani “buoni” attorno a me: quelli indifferenti, quelli che minimizzano, quelli che hanno bisogno che la violenza colpisca corpi bianchi per indignarsi, quelli che non sanno prendere posizione senza infinite premesse per non disturbare i potenti.
In questi anni, la parola “terrorismo” è stata usata con una leggerezza devastante, come se fosse neutra, come se non producesse conseguenze materiali, quotidiane, violente sui corpi dei musulmani e degli arabi in questo Paese.
Anche il Cred (Centro di Ricerca ed Elaborazione per la Democrazia) ha espresso forti preoccupazioni per il modo in cui è stato costruito questo impianto accusatorio. In particolare, segnala il fatto che materiali provenienti dall’apparato militare israeliano siano utilizzati come elementi di accusa senza un controllo adeguato sulla loro attendibilità. Affidarsi a documenti prodotti da uno Stato direttamente coinvolto nel genocidio, e oggi sotto giudizio internazionale, significa indebolire le garanzie di autonomia e imparzialità della giustizia.
È preoccupante anche il tentativo di far rientrare tutte le attività di solidarietà e assistenza umanitaria nella categoria del “finanziamento al terrorismo”, facendo leva su accuse e classificazioni politiche prodotte da governi stranieri, in particolare quello di Israele. È una dinamica che conosciamo fin troppo bene. Israele ha dichiarato che gli ospedali erano basi di Hamas, e poi li ha distrutti. Ha sostenuto che l’UNRWA fosse Hamas. Ha giustificato il blocco degli aiuti a Gaza sostenendo che, in qualche modo, fossero collegati ad Hamas. Accuse ripetute, smentite una a una, e pagate con il prezzo che sappiamo.
Dopo questa lunga sequenza di menzogne smontate dai fatti, il dubbio avrebbe dovuto essere automatico, quasi ovvio: forse anche in questo caso non dovremmo accettare senza verifica la narrazione del “mandare soldi a Hamas”. E invece no. Ancora una volta, sono i media a raccogliere e amplificare questa accusa senza esercitare alcuna funzione critica, trasformandola in verità indiscussa e contribuendo a demonizzare chiunque sia coinvolto in forme di solidarietà con la Palestina. In questo modo, il diritto smette di essere uno strumento di tutela per diventare un mezzo di pressione politica.
Questo è il terrorismo. Perché serve a costringerci a stare zitti, a dividerci, a prenderci le distanze gli uni dagli altri per sopravvivere. Serve a farci dubitare persino della nostra indignazione, a chiederci se non sia meglio abbassare il tono, scegliere parole meno “scomode”, rendere la nostra esistenza più accettabile agli occhi di chi ha il potere di colpirci. Ma io non voglio rendermi accettabile. Voglio restare fedele allo shock che provo, perché quello shock è lucidità. È la prova che tutto questo non è normale. E scriverne, oggi, è un atto di resistenza.
Partiamo da un dato che dovrebbe essere ovvio: se Israele ha prodotto elementi di accusa contro Hannoun, spetta alla magistratura valutarne la fondatezza, non all’opinione pubblica né ad apparati esterni al processo.
Le accuse non sono sentenze.
Le dichiarazioni di uno Stato coinvolto direttamente nel conflitto non sono prove di per sé, e la parola “terrorismo” non può sostituire un accertamento giudiziario.
Chi accusa dovrà dimostrare i fatti; se le accuse sono fondate, lo stabilirà un tribunale. Ma l’arresto non è una sentenza e il sospetto non è una prova.
Allo stesso modo, la difesa dell’indagato non è di per sé una prova né una sentenza.
Se alcune accuse si basano su documenti raccolti dall’esercito israeliano, sarà il giudice a stabilirne la veridicità, non l’avvocato difensore.
Difendere questo principio non significa assolvere nessuno, ma rifiutare che la vicenda diventi condanna o assoluzione preventiva.
La giustizia non ha bisogno di articoli; ha bisogno di prove.
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Ma infatti.
Se BIBI sorvola l’Italia mica lo intercettano e lo fanno scendere dall’aereo. Eppure è ricercato con l’accusa di crimini di guerra.
Invece, quando gli amici di Tel Aviv passano notizie opportunamente elaborate e filtrate, allora sì che la giustizia ‘italiana’ si muove.
Anche se è stato sempre lui, ‘Bibi’. a sostenere apertamente la necessità di finanziare Hamas per far danno agli stessi palestinesi. Ma finché lo fa il Qatar va tutto OK.
Sai, uno potrebbe avere la strana impressione che l’italia stia agendo come marionetta di Bibi.
Un pò come quando ospitava i poveri soldati zionisti troppo stressati dal tiro a segno di Gaza.
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Forse la signora Ismail non lo sa, essendo palestinese, ma sicuramente in Italia (e molto probabilmente anche nel resto del mondo) quella di eseguire gli arresti all’alba è una prassi consolidata da decenni, e i motivi sono talmente ovvi che non meriterebbero nemmeno di essere menzionati (ad ogni modo, qua un riassunto dei principali), pertanto non condivido il suo vittimismo su questo punto, ritenendolo del tutto gratuito.
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RACCONTALA TUTTA se ci riesci.
1-anzitutto non è affatto detto che gli arresti li facciano all’alba. Esempio: Bossetti fu arrestato al lavoro, non andarono a prenderlo a casa ‘all’alba’.
2- inoltre lei ha detto una cosa diversa:
”’Sono state eseguite all’alba, la mattina successiva alle festività natalizie. Il momento in cui tutti – noi compresi – abbassiamo le difese. Quando le reti di supporto sono più fragili, quando ci si illude, anche solo per pochi giorni, di poter respirare.”’
Altro che VITTIMISMO.
Lo stesso giorno in cui hanno approvato la schiforma C.d.C. che accidentalmente ha consentito ai b@stardoni destromani di sbraitare contro i pro-pal senza dire 1 parola della schiforma che hanno appena approvato.
In altre parole, ti sei dimostrato per quel che sei: il solito manipolatore patologico.
E fa ancora più strano (diciamo così, tanto per non usare ‘parolacce’ 😀 ) che tu sia stato sistematicamente assente quando c’erano gli articoli sulle stragi zioniste ai danni dei palestinesi e adesso ti senta in dovere di commentare come un SECHI qualsiasi quando c’é da criticare un’attivista palestinese.
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Sì, le reatate si fanno all’ alba, quando gli altri non possono vedere e che siano legittime, legalmente, e’ tutto da dimostrare, ma intanto ci sono state…..ed uno Stato che si è macchiato di crimini, di genocidio, non pare un attore/testimone imparziale nell’ indicare chi e perché debba finire nella retata! Se essere palestinese è un crimine tanto da giustificare azioni arbitrarie, abbiamo un problema che va ben oltre etnia, religione, appartenenza politica o preferenza sessuale! Non è un problema dei palestinesi, è un nostro problema !
Prima vennero a prendere qualcuno a cui io non appartenevo , ma che aveva il diritto di essere considerato persona, innocente fino a prova contraria……Non è vittimismo, è stato di diritto…perso per uno, perso per tutti! Attenzione a sottovalutare perché è già successo, in Italia! Auguriamoci che la magistratura abbia quell’ imparzialità necessaria e quel rispetto della legge su cui si fonda la democrazia e su cui la nostra Costituzione, non quella di Israele, ha sancito dopo altre reatate , la tutela della persona, indistintamente da etnia, sesso, religione, ceto o appartenenza politica! Le vittime ci sono già state, a Gaza, grazie a chi ha preferito fare distinguo di comodo o di palese indifferenza !
“Prima vennero per gli ebrei
e io non dissi nulla perché
non ero ebreo.
Poi vennero per i comunisti
e io non dissi nulla perché
non ero comunista.
Poi vennero per i sindacalisti
e io non dissi nulla perché
non ero sindacalista.
Poi vennero a prendere me.
E non era rimasto più nessuno
che potesse dire qualcosa.”
E quelli presi erano allora, come adesso già ritenuti colpevoli….gratuitamente ed arbitrariamente colpevoli! Invece erano vittime! Quindi prima di parlare di vittimismo si ricordi la vergognosa storia che ci appartiene come una macchia, uno sputo in faccia all’ etica, al diritto e alla democrazia con cui ci riempiamo la bocca!
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