In Europa, dopo ottant’anni di pace, il suo spettro si riaffaccia con prepotenza. Ma come ripensare il continente senza cedere al bellicismo? Munendo i nostri discorsi di quell’arma indispensabile che è l’amore per gli esseri umani

(di Michele Serra – repubblica.it) – Non c’è cittadino europeo di buon senso che non capisca la necessità di ripensare daccapo la difesa del continente, su basi federali e non più nazionaliste. Esercito, intelligence, armamenti, logistica, cultura (soprattutto cultura: ovvero essere in grado di chiedersi perché si portano le armi, e di continuare a chiederselo ogni giorno). Con l’ovvia cura di stabilire, secondo i principi dell’Unione – che è post-nazionalista e post-imperialista per nascita – lo scopo rigorosamente, strettamente difensivo delle sue forze armate.
Ci si arma (sì, ci si arma) per essere pronti al peggio e possibilmente per evitarlo. Certo non per provocarlo o innescarlo: come capita di pensare udendo e leggendo le parole di guerra che ultimamente sbocciano ovunque con una leggerezza feroce. Si è tornati a parlare della guerra non solo come una ordinaria circostanza della storia, ma come una prova del fuoco alla quale possono sottrarsi solo il pusillanime e l’imboscato; e di conseguenza si è tornati a parlare della pace come di una imbelle patologia del benessere.
Si leggono costernati rimproveri ai giovani europei, che in larga parte, alla domanda se morirebbero per la Patria, rispondono, come Bartleby, “preferirei di no”. Aspettarsi un “preferirei di sì”, dopo ottant’anni di pace, corrisponde ad aspettarsi un “preferisco la fame” dopo ottant’anni di piatti pieni. Se quel poco o quel tanto di decente e di utile che noi europei adulti abbiamo portato in dote alle nuove generazioni, insieme a un relativo benessere e molte tangibili libertà, sono gli ottant’anni di pace, per la prima volta nella storia d’Europa, come può meravigliarci che la guerra sia considerata da figli e nipoti una caduta nell’abisso inconcepibile, e un tradimento delle premesse nelle quali sono nati?
C’è poi la cordiale competenza degli strateghi e degli esperti, che nei talk show disegnano gli scenari di guerra come il geometra la sua villetta. E infine c’è il rassegnato fatalismo di chi, non bellicoso, valuta però che la guerra sia inevitabile perché la natura umana è aggressiva e sopraffattrice. E soprattutto: è immutabile, come se i millenni di civilizzazione non fossero un percorso accidentato ma effettivo; solo un falso movimento, un inganno auto consolatorio.
Diceva Kurt Vonnegut che la guerra accade quando “vecchi porci mandano a morire i ragazzi”. Se la sintesi vi sembra brutale, ecco, sullo stesso identico tema, lo svolgimento di papa Leone XIV nella sua omelia di Natale: “Fragili sono le vite dei giovani costretti alle armi, che proprio al fronte avvertono l’insensatezza di ciò che è loro richiesto e la menzogna di cui sono intrisi i roboanti discorsi di chi li manda a morire”.
Si è liberi di attribuire questo ripudio della guerra al rigore evangelico (papa Leone) o al pacifismo beatnik (Vonnegut), insomma a visioni “ottimistiche” degli esseri umani e del loro percorso. Ma non si è liberi di parlare di guerra omettendo di dirne ogni volta, fino allo sfinimento, la struttura materiale, ben visibile e immutabile (se non peggiorata) dalla protostoria ai nostri giorni: pochi maschi di potere, quasi sempre anziani e quasi sempre per ragioni di prevaricazione economica, mandano a morire moltitudini di maschi giovani, esponendo le città alla distruzione, le donne al silenzio e alla rassegnazione, quando non allo stupro, la natura e gli animali allo scempio.
Di questo “scontro frontale di una virilità guerriera” che travolge nel suo farsi non solamente il presente, ma cancella ogni altra ipotesi differente di convivenza e perfino di conflitto, ha molto scritto Lea Melandri, e alla cultura femminista non sono certo serviti giri di parole o forzature ideologiche per inquadrare l’evidenza: la guerra è una pratica arcaica ed è una pratica maschile.
Doppia circostanza che fa riflettere, inevitabilmente, sulla giustapposizione dei due concetti, arcaico e maschile, e giustifica e sollecita ogni possibile ragionamento su come e quanto muterebbero, le sorti dell’umanità, alla luce di una più forte presenza e influenza della cultura femminile nella società, nei luoghi di pensiero e nelle stanze del potere. Non è solo per un fortuito caso statistico che, a livello politico, i tre discorsi più recenti di leader europei che invitano a prepararsi alla guerra sono di tre maschi di potere, i capi di Stato Maggiore di Regno Unito e Francia e il segretario della Nato, l’olandese Mark Rutte. Non possiamo che fare nostre le desolate domande che si è fatto Gianni Cuperlo: “quando e come si è prodotto uno strappo così profondo anche nel linguaggio e nella possibilità di pronunciare frasi che soltanto una manciata di anni fa non avrebbero avuto cittadinanza alcuna nello spazio condiviso del discorso pubblico?… Quando e perché una parte della classe dirigente europea ha rimosso la consapevolezza di cosa siano guerre e conflitti?”.
Anche Cuperlo, come chi scrive, è oramai un maschio anziano. Leggere le sue parole mi ha confortato perché siamo prima di tutto noi maschi anziani, quando parliamo e scriviamo di guerra, ad avere il dovere di riconoscere in quella parola una diretta, irrefutabile responsabilità di genere; e anche una responsabilità anagrafica. Perché – detto bruscamente – non saremmo noi a rischiare la pelle in trincea, ma i maschi giovani, e questo affido ad altri della morte “eroica”, più semplicemente della morte ordinaria e ripugnante nel fango di una trincea, dovrebbe suggerirci il massimo della cautela, della delicatezza, della compassione per noi stessi e per gli altri.
Sapere di che cosa stiamo parlando, quando parliamo di guerra, è della massima importanza (nel senso che non riesco a vedere, in questo passaggio della nostra storia, argomenti altrettanto importanti). Dunque muniamo i nostri discorsi, per favore, di quell’arma indispensabile che è l’amore per gli esseri umani, per i bambini, le città, le scuole, i teatri, i negozi, i campi, gli alberi e gli animali. Senza temere che qualcuno faccia osservare che è la solita melassa. In quella melassa la vita vive, la vita è la regola, non il sospiro dello scampato.
Zelensky, l’anno peggiore: urne, meno aiuti, no asset
(di Cosimo Caridi – ilfattoquotidiano.it) – Era febbraio quando Volodymyr Zelensky ha capito che il 2025 sarebbe stato l’anno più difficile della sua presidenza. Nello Studio Ovale, davanti alle telecamere, Donald Trump e il suo vice Jd Vance hanno messo all’angolo il leader ucraino, accusandolo di non voler chiudere la guerra. Da quel momento la sequenza è stata rapida: aiuti statunitensi congelati, pressioni per concessioni territoriali, nuove perdite sul fronte, scandali di corruzione. L’immagine del presidente simbolo della resistenza si è logorata, sostituita da quella di un capo sotto assedio.
Lo scontro con Washington.
Il cuore dell’annus horribilis è il piano di pace promosso da Trump. Un documento articolato che chiede all’Ucraina concessioni territoriali rilevanti, il congelamento delle linee del fronte, un limite strutturale alle forze armate e la rinuncia all’ingresso nella Nato, in cambio di garanzie di sicurezza. Zelensky ha aperto all’ipotesi di un referendum come strumento di legittimazione, ma solo dopo un cessate il fuoco. “Nessun presidente può decidere da solo il destino del Paese”, ha detto. Allo stesso tempo ha fissato un confine politico: “Non accetteremo un diktat che distrugga il nostro futuro europeo”. La risposta di Washington è stata dura. Trump lo ha accusato di voler trascinare gli Usa in una guerra senza fine, ha messo in pausa parte degli aiuti militari e dell’intelligence e lo ha definito un leader “senza elezioni e senza un piano credibile”.
Corruzione e legittimità.
Nel pieno della pressione esterna è esploso lo scandalo Energoatom. Gli inquirenti hanno ricostruito un sistema di tangenti per oltre cento milioni di dollari che coinvolge ex ministri, dirigenti pubblici e figure vicine al presidente, incluso Tymur Mindich, socio storico di Zelensky. Il capo dello Stato ha licenziato i ministri coinvolti e parlato di “tradimento in tempo di guerra”. Il danno politico è profondo, aggravato dal tentativo parlamentare di ridimensionare l’autonomia delle agenzie anticorruzione, poi ritirato dopo proteste interne e pressioni occidentali. Sullo sfondo resta il nodo delle elezioni. La legge marziale impedisce il voto e il parlamento ha prorogato più volte il regime eccezionale. Formalmente il mandato di Zelensky resta valido, ma sempre più leader mondiali ripetono che l’assenza di elezioni delegittima Kiev.
Fronte militare.
Sul campo il 2025 è stato un anno di logoramento. Nessun collasso, ma avanzate russe lente e costanti in Donetsk e nel settore di Kupiansk. Kiev ha perso nuove porzioni di territorio e i comandanti hanno denunciato carenze di munizioni, artiglieria e difesa aerea. In parallelo, Mosca ha intensificato la campagna contro l’energia. Droni e missili hanno colpito centrali e sottostazioni, provocando blackout prolungati e una riduzione drastica della capacità elettrica.
Asset russi.
Almeno il 50% del bilancio annuale di Kiev è coperto da fondi che arrivano dall’estero. Senza questo flusso, lo Stato non sarebbe in grado di pagare stipendi pubblici, pensioni e spese militari. Il fallimento politico sul dossier degli asset russi congelati pesa molto. Nonostante gli sforzi del cancelliere tedesco Friedrich Merz e della presidente della Commissione Ursula von der Leyen, non si è arrivati all’utilizzo di quei fondi per finanziare l’Ucraina. La soluzione di Bruxelles (nuovi prestiti europei) mette in sicurezza il bilancio del 2026. Sul piano tecnico una boccata d’ossigeno, su quello politico è una sconfitta per Zelensky e per i suoi sostenitori europei, che avevano promesso di far pagare a Mosca il costo della guerra e si sono invece fermati a un compromesso.
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Mi sembra che Van Der Lajen, Kallas e Picierno siano donne e non maschi anziani . Poi, il fatto stesso che si parli di guerra a colazione,pranzo e cena quando nessuno ci sta minacciando ,non depone a favore del sermone di Serra che è pieno di controsensi . La guerra per difendere il proprio suolo patrio ? Certo ma a patto che non abbiamo provocato noi il conflitto. Una guerra per difendere un paese che non fa parte neanche dell’ EU e della Nato e che stato oggetto di colpo di stato organizzato dagli Usa nel 2014 ? No,assolutamente no . Non si và a morire per questo,che sia femmine o maschi .
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No a morire per la patria, figuriamoci per l’Ucraina corrotta e nazistoide. Serra, vacci tu al fronte! E poi perchè solo i maschi? Se vogliono la parità ci vadano pure le donne.
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Ecco, concordo, al fronte ci vada Serra e si porti dietro tutti quelli che ora vogliono un’ Europa federale solo militare, come se non fosse bastata quella unita solo monetariamente…..L’ errore è stato pretendere di costruire la UE prima con la moneta unica, sperando che quella politica seguisse a ruota….Non è successo! Ora pure quella militare bellica! Visto l’ aborto, va sgonfiata e rimpastata come il pane, sperando che venga meglio, ma le premesse non sono rosee! Prima finisce sta pantomima nata male e cresciuta peggio, e prima possiamo gettare le basi per qualcosa di migliore, azzerando totalmente la classe dirigente! Vadano a fare l’ uncinetto o al fronte, ma possibilmente fuori dai cojoni, chi è stato il danno, non può essere la soluzione! Dopo 30 anni di porcilaia, la guerra dei vecchi porci , pure declinata al femminile, anche no! Manco il cane ci manderei a combattere per loro, figuriamoci figli e nipoti!
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Ci vada Serra al fronte e si porti dietro le valchirie….la porcilaia durata 30 anni sulla moneta unica, senza uno straccio di politica, non può declinare al bellico solo perché è necessaria l’ Europa federale! Visto che non è mai nata, politicamente, e questa fa schifo, azzeriamo il tutto per ripartire….senza chi ha fatto i danni, che ovviamente non può essere protagonista della soluzione ! L’ Europa federale anche NO! Non così! Non con questa élite che non ne ha azzeccata una! Il fronte li attende, vadano……
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non prendetevela con il povero Michele ha un buon pusher che lo rifornisce di roba buona e da quello che scrive si ha un reale riscontro. Che giornalaio!!??🤣🤣
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