(di Michele Serra – repubblica.it) – Ho visto le rocce in piazza Maggiore, a Bologna, le ho trovate incongrue, inattese, ingombranti: dunque, bellissime. Il loro scopo era impicciare, spaesare, dare la sensazione, dentro la geometria impeccabile della piazza, della potenza caotica della natura. Ci riuscivano ottimamente. Il nome dell’opera era “dismisura” e diceva tutto.

L’installazione è durata sette giorni: ovviamente un tempo breve, non essendo pensabile che lo snaturamento (o forse: la “rinaturalizzazione”) di una piazza cinquecentesca potesse durare più del tempo necessario per accorgersene e passarci in mezzo. Sfugge, dunque, la ragione dell’acredine e dell’indignazione di molti commenti social.

Il disturbo permanente di molti mostruosi edifici di molte brutte città non sembra suscitare uguale scandalo: alla bruttezza ci si abitua, evidentemente. Non offende, semmai avvelena lentamente. Le novità invece disturbano, costringono a spostarsi dai soliti quattro passi quotidiani.

Dovessi augurarmi qualcosa di buono, per il nuovo anno imminente, è che cessi questo borbottio iroso e preventivo di tutti contro tutti. Che sembra la conferma del vecchio detto (conservatore) «come fai, sbagli».

La maggiore parte dei “nemici dei massi”, nei commenti social, sosteneva che a Natale si deve fare il presepe, mica mettere massi per la strada. Ma a parte che di presepi Bologna già pullula, che accidenti c’entra? Che osservazione è?

Ma fermarsi, guardare, considerare che in quella enorme presenza c’era l’intelligenza di qualcuno, il lavoro di qualcuno, la visione di qualcuno? E esitare quei dieci-venti secondi, prima di postare «cos’è questa schifezza?».