In una sfida elettorale meno tecnica e più politica, infatti, contro il governo si potrebbero mobilitare gli elettori dell’opposizione insieme a tanti scontenti e disaffezionati

La premier Giorgia Meloni e il Guardasigilli Carlo Nordio

(di Giovanni Diamanti – repubblica.it) – Non siamo ancora entrati nel vivo della campagna referendaria, ma le due fazioni in campo stanno già scaldando i motori. Ai blocchi di partenza, il fronte governativo, schierato graniticamente per il Sì, appare favorito: dal 57.9% di Ipsos al 56% di Youtrend, ad oggi il vantaggio fotografato dai sondaggi è piuttosto netto e supera chiaramente i rapporti di forza tra la coalizione di centrodestra e il Campo Largo.

Sono numeri che possono infondere ottimismo alla coalizione di governo, ma significano ancora molto poco. Nel 2016, ad esempio, la riforma costituzionale proposta e approvata da Matteo Renzi secondo molti istituti di rilevazione veniva inizialmente promossa da quasi due italiani su tre. Solo dopo l’estate il consenso calò drasticamente, ma all’inizio di settembre, con il voto previsto il 4 dicembre, buona parte dei sondaggi continuava a fotografare un testa a testa.

È difficile infatti misurare le opinioni dei cittadini con grande anticipo sulla data referendaria: in un’epoca caratterizzata da disaffezione e disinteresse dei cittadini verso la politica, il grande limite è la conoscenza degli argomenti. Nel caso relativo alla riforma della giustizia, ciò si nota in modo particolare: il tema è evidentemente ancora poco conosciuto dagli italiani, e un sondaggio Youtrend per SkyTg24 di inizio novembre evidenzia come solo il 10% degli intervistati si dichiari “molto informato” sul quesito.

Ci sono poi scelte strategiche che possono incidere sull’esito: nel 2016, ad esempio, a decidere il risultato del referendum fu soprattutto la scelta di Matteo Renzi di personalizzare la partita, legando il proprio destino a quello del votoGiorgia Meloni e il suo governo vivono oggi una situazione paragonabile sul fronte dell’opinione pubblica: la loro coalizione è in testa nel voto politico, ma il gradimento dell’esecutivo è ben al di sotto del 50%, ed è ulteriormente calato negli ultimi mesi, attestandosi, secondo la stessa rilevazione di Youtrend, al 32%. L’esperienza di Renzi del 2016 fungerà da monito per Giorgia Meloni, che verosimilmente eviterà di commettere lo stesso errore di personalizzazione, ma può essere anche di ispirazione per le opposizioni. Se infatti il voto diventasse un referendum sull’esecutivo, con un consenso così basso, la partita si potrebbe riaprire con più facilità. Stavolta potrebbe non essere il presidente del Consiglio (in questo caso, la presidente del Consiglio) a politicizzare e personalizzare la campagna elettorale, ma l’opposizione, per la quale trasformare questo voto in un referendum sul Governo Meloni potrebbe rappresentare una grande opportunità.

In una sfida elettorale meno tecnica e più politica, infatti, contro il governo si potrebbero mobilitare gli elettori dell’opposizione insieme a tanti scontenti e disaffezionati che non trovano alcun riferimento nei partiti, ma che allo stesso tempo potrebbero voler lanciare un segnale politico, cercando di indebolire la maggioranza.

Certo, è difficile combattere l’astensionismo senza parlare di contenuti, e la battaglia politica dovrà lasciare il giusto spazio a una discussione sul merito della riforma: c’è di mezzo il futuro della giustizia. Anche perché la campagna referendaria è ancora lunga e appare, allo stato attuale, tutt’altro che chiusa, al netto dei numeri delle rilevazioni.