“Beata solitudo, sola beatitudo” (san Benedetto da Norcia)

(di Massimo Fini – ilfattoquotidiano.it) – Parecchi anni fa Gianfranco Funari, intervistato in strada da Roberto Poletti, disse: “Io sono un uomo solo”, e pur non conoscendomi affatto, riprese: “Se penso a un altro uomo solo penso a Massimo Fini”.
Qui faccio una lunghissima digressione. Col pool di Mani Pulite, Francesco Saverio Borrelli e Di Pietro in testa, Gianfranco Funari fu uno dei protagonisti di quella stagione, insieme a un non ancora indementito Vittorio Feltri, diventato, a 82 anni suonati, un pugile. Feltri era quest’anno alla Festa del Fatto, da remoto, e si vedeva benissimo che gli tremavano le mani. Evidentemente c’è una certa voluttà in alcuni uomini nel rendersi ridicoli, è una parte dell’animo umano. “Tutte le situazioni abiette, degradanti e soprattutto ridicole hanno sempre suscitato in me, insieme a una collera smisurata, una voluttà altrettanto smisurata”. Confessione del principe Stavrogin, nei Demoni di Dostoevskij.
Tutti i protagonisti di Mani Pulite hanno fatto una brutta fine: Funari fu esiliato a Odeon, Di Pietro si mise in politica, ma non era la sua parte, perché da uomo onesto qual è non è capace delle furfanterie che sono il pane della politica, inoltre gli comprarono uno dei suoi senatori. Feltri si salvò a modo suo, il suo solito modo: cambiando gabbana. Da iperforcaiolo che era stato da direttore dell’Indipendente (gli attacchi ai figli di Craxi, Stefania e Bobo, il “cinghialone” appioppato a Bettino trasformando una legittima inchiesta della Magistratura in una sorta di “caccia sadica”, il democristiano Enzo Carra sbattuto in manette in prima pagina) divenne ipergarantista quando passò alla corte di Berlusconi, che è morto, ma il berlusconismo esiste ancora, anzi, è più forte che mai e irradia le sue malefatte, come il Dio di Plotino. Il berlusconismo non va confuso con la Destra, che può essere una cosa seria, ma è un modo da canaglie di affrontare il mondo, violando tutti gli articoli del Codice penale e anche, con opportuni aggiornamenti, del Codice di procedura penale, senza pagar dazio.
Ero quindi “un uomo solo”, come diceva il buon Gianfranco e, seguendo il brocardo di San Benedetto, avrei fatto meglio a restarlo. Ma la vita dell’asceta non è fatta per me. Sugli asceti c’è poi una barzellettina che mi auguro diverta il lettore. Siamo sull’Himalaya e tre Illuminati decidono di arrampicarsi su quegli altissimi picchi per lasciarsi alle spalle la confusione del mondo. Passano sette anni in assoluto silenzio. Primo Illuminato: “Che pace c’è qui”. Passano altri sette anni, secondo Illuminato: “Hai ragione”. Passano altri sette anni, terzo Illuminato: “Se continuate a fare casino me ne vado”.
Quindi mi sono immerso nella vita, come tutti. Ho avuto persino una moglie, fidanzate e, sia pure in dosi minori, fidanzati. E poi ci sono stati gli amici e ci sono, sempre meno, dei fan che mi pongono, come se fossi Domineddio, domande impossibili, prive di senso, per esempio “che senso ha la vita?”. E che cazzo ne so io, della vita. Non so nemmeno se esista o non sia piuttosto una nostra allucinazione. Mi chiedono poi consigli come se fossi Gesù nel Tempio, e non potessi quindi più dare cattivo esempio, sui loro percorsi professionali. La sola cosa sensata, appunto, è che non contano gli obiettivi, tanto non vengono mai raggiunti, ma un percorso che ti dia, nel momento in cui lo stai facendo, non la “felicità” (parola proibita che non dovrebbe mai essere pronunciata) ma armonia, calma, serenità, tutte cose molto difficili da raggiungere in un mondo basato, sostanzialmente, sulla competizione economica.
Di tutto quel casino che è stata la mia vita, che rimane se non la solitudine? Ha avuto un senso darsi tanto da fare? La solitudine si apparenta, in qualche modo, al suicidio. Il suicidio del giovane ha un suo valore estetico e anche etico, perché si gioca tutto ciò che ha, la vita. Quello del vecchio è avvilente, perché si gioca solo degli spiccioli. Una cosa è la solitudine come libera scelta, altra quando è obbligata.
Quando avevo ventisette anni, l’età limite secondo me, avevo una rivoltella, ma sono un vigliacco e non ho mai avuto il coraggio di usarla. Ho perso la battuta.
La lascio in eredità alla mia giovane assistente.
Leggo sempre Massimo Fini, anche quando non la penso come lui: quello che apprezzo davvero sono gli aneddoti di una lunga vita vissuta da protagonista del giornalismo italiano, quello con la G maiuscola. Avendo più o meno la sua età, in molti suoi ricordi, nel mio piccolo, finisco per riconoscermi. Emblematico il caso di Vittorio Feltri: l’ho seguito ai tempi dell’Indipendente, dove scriveva anche Fini, poi ne ho visto il progressivo decadimento prima culturale e poi cognitivo, accompagnato dal passaggio al Giornale di Berlusconi con uno stipendio da capogiro, come lui stesso ha raccontato parlando di una “miliardata”.Lo “sterco del demonio”, come Fini ha battezzato il denaro nel suo libro, conserva intatto il suo potere corruttivo; e la provocazione di tornare al baratto resta una splendida utopia, tanto radicale quanto irrealizzabile in un mondo che del denaro ha fatto l’unico vero dio.
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Triste resoconto. Ma è sempre un piacere leggere i Suoi articoli.
Quindi…avanti ! Ne aspetto altri.
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