
(Massimo Giannini – repubblica.it) – Cambiare la legge elettorale, invece di rafforzare la legge di bilancio, non migliorerà la vita degli italiani. Abolire i collegi uninominali, invece di far crescere i salari reali, non spingerà più gente a votare. Allo stesso modo forzare sull’elezione diretta del presidente del Consiglio, invece di ridurre la pressione fiscale sul contribuente onesto, non contrasterà la disuguaglianza e la rabbia sociale. Sottrarre al Capo dello Stato la discrezionalità nello scioglimento delle Camere, invece di aumentare la qualità degli eletti, non servirà a garantire governi più stabili, a stimolare la crescita del Pil, a rendere le città più sicure. Eppure, la prima reazione di Meloni e dei suoi arditi alla battuta d’arresto delle elezioni regionali è stata esattamente questa. Non un colpo d’ala sui grandi temi che stanno a cuore a tutti i cittadini: l’economia che ristagna, la micro-criminalità che dilaga. Al contrario, un colpo d’acceleratore sulle pseudo-riforme che stanno a cuore solo ai patrioti al comando: il premierato e il sistema di voto. Il doppio e immediato rilancio su “priorità” così lontane dai bisogni quotidiani del Paese, e invece così vicine ai sogni di potere del Palazzo, conferma al di là di ogni truce sparata propagandistica le preoccupazioni della Sorella d’Italia. L’arretramento della Fiamma tricolore è stato significativo: ha fallito miseramente l’Opa sul Veneto, dove la Lega a trazione Zaia ha umiliato sia Meloni che Salvini, e ha perso copiosi consensi in Campania e Puglia, dove è stata schiantata dal Pd di Elly Schlein. Non è stato certo il “provvidenziale scossone” dolosamente attribuito dai soliti gazzettieri di regime a un consigliere di Sergio Mattarella. Ma l’allarme è suonato chiaro e forte, nelle stanze del governo. Bisogna fare qualcosa: non per governare meglio l’Italia, ma per far governare più a lungo Fratelli d’Italia.
Riaffiora un vizio quasi genetico delle destre berlusconiane e post-berlusconiane (mutuato in parte anche dalle sinistre renziane). Le regole del gioco vanno bene finché si vince: appena si fiuta il pericolo di una sconfitta possibile, allora vanno cambiate in corsa, facendo saltare il tavolo a botte di maggioranza. È la Storia della Seconda Repubblica, svilita dall’uso politico delle norme costituzionali e dall’abuso partitico delle riforme istituzionali. Per quanto sfibrata, in nessun’altra democrazia europea le leggi elettorali sono state riscritte più volte come da noi. Sempre con un solo obiettivo: non quello di assicurare più efficienza al dispositivo di voto e più efficacia al principio della rappresentanza, ma quello di impedire la vittoria dell’avversario. Dopo il Mattarellum del 1993 — con il quale scegliemmo il maggioritario, indignati da Tangentopoli — ci illudemmo di aver introiettato la cultura del bipolarismo. Ma nel 2005 a riportarci nel caos ci pensò il Cavaliere col Porcellum, fritto misto indigeribile cucinato a Lorenzago col solo scopo di farlo vomitare dall’Unione di Prodi, che infatti vinse a stento e crollò dopo due anni. Nel 2013 la Corte costituzionale giudicò illegittima quella “porcata” e subito dopo Renzi, allora royal baby di rito Nazareno, provò a metterci una pezza con l’Italicum, a sua volta tagliato a misura sul suo “regno”. Due anni dopo la Consulta bocciò anche quello, e così nel 2017 siamo approdati all’attuale Rosatellum, che fa eleggere due terzi del Parlamento col proporzionale e un terzo col maggioritario.
Questo ennesimo Frankenstein elettorale, frutto di trapianti innaturali e innesti parziali, ha consentito a Meloni di stravincere nel 2022: col 43% dei voti, si portò a casa l’82% dei collegi uninominali alla Camera, beneficiando della frammentazione/ cannibalizzazione del centrosinistra. Non solo: per quanto pasticciato, il Rosatellum le ha permesso di smerciare i suoi dsuccessi” all’orbe terracqueo, rivendicando con iattanza e tracotanza “la stabilità e la longevità” del suo governo. Ma con le ultime regionali l’incantesimo si è rotto. Pd, 5S, Avs e Casa Riformista si sono coalizzati, e le simulazioni dell’Istituto Cattaneo dimostrano che, trasferendo su scala nazionale i risultati del voto locale, la rimonta del centrosinistra nei collegi sarebbe clamorosa, azzerando il vantaggio delle destre al Sud. FdI, Lega e Fi dovrebbero scordarsi il “cappotto” di tre anni e mezzo fa, quando conquistarono 121 collegi su 147: si ritroverebbero cucito addosso un “vestitino” striminzito, inadatto per rivincere e buono tutt’al più per pareggiare. Adesso, nei collegi uninominali, la paura fa meno di 90: ecco perché, prima delle politiche del 2027, urge un altro rimaneggiamento della legge elettorale. Serve un bel Melonellum, che lasci a Giorgia quel che è di Giorgia, o tolga a Elly quello che potrebbe diventare di Elly. Chiusa la baita del Cadore, congedata la coppia Calderoli & Tremonti, dallo sgangherato pensatoio di Via della Scrofa i nuovi Stranamore Fazzolari & Donzelli annunciano l’abolizione dei temuti collegi, e un sistema proporzionale con un premio di maggioranza del 55% per il partito o la coalizione che raggiunga almeno il 40-45%. L’ennesimo patchwork, ma coerente con la parallela riforma su cui ora bisogna serrare i ranghi, cioè l’elezione diretta del presidente del Consiglio il cui nome andrà tassativamente indicato sulla scheda.
Questa, adesso, è la road-map del melonismo da combattimento. Con la virile fedeltà e la proverbiale “terzietà” che lo contraddistinguono, Ignazio La Russa ha dato la sua benedizione: per approvare il premierato “c’è tempo”, ha dichiarato la sedicente seconda carica dello Stato, precisando che è solo questione di “volontà politica”. Il che è come dire: anche sulle regole del gioco democratico non esistono spirito bipartisan, grazia di Stato, primato del Parlamento. Come sulla “riforma della giustizia” e la separazione delle carriere tra giudici e pm: se c’è una maggioranza che decide, faccia pure. Nessuno la fermerà. Per questo, se le regionali hanno suonato il campanello d’allarme a destra, devono suonare anche la sveglia a sinistra. È finita la stagione dei sofismi, dei personalismi e degli sconfittismi: se il governo è tornato contendibile, urgono qui ed ora un programma serio e una squadra coesa che lo rendano davvero raggiungibile. E come ha detto Renzi su questo giornale, stavolta giustamente, la sfida si giocherà sulla quotidianità più che sull’ideologia, sul carrello della spesa più che sul calcolo dei seggi.
A due anni dal voto, come nella migliore tradizione italica, si profila un’altra legge elettorale ad destram, combinata a una riforma costituzionale ad personam. Sta all’opposizione proporsi al Paese come alternativa radicale a questa deriva illiberale. È evidente che il premierato calza a sua volta a pennello alla Meloni: se passasse quello sbrego alla Costituzione, lei diventerebbe la domina assoluta della Nazione. Se non passasse, sarebbe pronta a fare la presidente della Repubblica nel 2029. Comunque andasse, passeremmo da democrazia a capocrazia. Da Colle Oppio al Colle Quirinale: per l’Underdog sarebbe un salto epocale, per l’Italia un salto nel buio.
quando l’ha fatto il Caxxaro Rosa, tu dov’eri? in vacanza alle Maldive? o spintonavi anche tu per entrare anche nel giglio magico?
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“la prima reazione di Meloni e dei suoi arditi alla battuta d’arresto delle elezioni regionali”
“Dopo il Mattarellum del 1993 — con il quale scegliemmo il maggioritario, indignati da Tangentopoli — ci illudemmo di aver introiettato la cultura del bipolarismo. Ma nel 2005 a riportarci nel caos ci pensò il Cavaliere col Porcellum, fritto misto indigeribile cucinato a Lorenzago col solo scopo di farlo vomitare dall’Unione”
Non continuo a copiare altre fesserie perché non avrei la possibilità di commentarle tutte.
Quanto al primo punto, mi domando se l’autore dell’articolo non sappia come si fanno i confronti dei risultati elettorali o sia in malafede. Gli consiglio e lo consiglio anche a quelli che pensano come lui, di leggere le tabelle pubblicate su facebook da Luigi Marattin, non certo un meloniano.
Anche per il secondo punto mi domando se non abbia capito le leggi elettorali o sia in malafede.
Relativamente al mattarellum, dobbiamo ricordarci che già alla prima applicazione dimostro i suoi limiti. E non perché Mattarella non volesse il bipolarismo, ma perché non tenne conto della furberia dei sinistrati. Quando nel 2001 il centro destra unito usò le stesse furbate dei sinistri si prese la maggioranza assoluta. Il porcellum consentì a Prodi di prendere, alla Camera, la maggioranza assoluta di 340 seggi pur avendo preso solo 25 mila voti. Al Senato, però, il centro destra prese circa 400 mila voti in più, ma non la maggioranza assoluta dei seggi, bensì quella relativa. Diciamo un pareggio e, quindi, solo con i giochi di palazzo Prodi riuscì a fare un governo che durò solo 2 anni.
Il rosatellum, che secondo i 5 stelle era stato inventato per non far vincere loro, in realtà fu inventato per non far vincere nessuno in modo che i falsi democratici ( i sinistrati) potessero sguazzare nel pantano. Se nel 2022 non si è creato il pantano sognato fu perché in alcuni collegi uninominali del sud i pidini, la cui arroganza non ha limiti, non votarono il candidato pentastellato. Insomma, oggi, sempre i pidini sono contrari alla modifica del rosatellum perché sanno nuotare da maestri nei pantani.
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“Cambiare le regole in corsa”. Tipo in Romania, Georgia, Moldavia? Dove se vince il candidato sbagliato si annullano le elezioni o si mettono fuori legge prima i candidati sbagliati? Però in quel caso a Repubblica tutti zitti. IPOCRITI.
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