Sono giorni complicati per il filo-ucraino immaginario, quello che ama declamare il proprio incondizionato appoggio a Zelensky restandosene […]

(di Antonio Padellaro – ilfattoquotidiano.it) – Sono giorni complicati per il filo-ucraino immaginario, quello che ama declamare il proprio incondizionato appoggio a Zelensky restandosene prudentemente a 2125 km da Kiev. Le cronache segnalano che domenica in piazza a Roma erano pochi, ma fermamente determinati a sostenere l’Ucraina “anche se dovesse mancare l’apporto americano”. Parole di Paolo Gentiloni, non un cuore di leone, che hanno tuttavia spiazzato il battaglione Azov dei Parioli guidato da Carlo Calenda e dal suo ferocissimo tridente, simbolo nazionale ucraino, che il leader di Azione si è temerariamente tatuato sotto il polsino. Sì, le certezze di un tempo quando bastava enunciare la formula dell’aggredito e dell’aggressore per mettere in fuga il nemico ibrido putiniano hanno subìto uno scossone dopo la pubblicazione del piano di pace preso in considerazione a Washington.

Dopo averli sputtanati come merce avariata del Cremlino i 28 punti, a cui se ne sono aggiunti altri 28 con le proposte migliorative della Ue, al reparto incursori dell’Esquilino si pone adesso il non piccolo problema di leggerseli tutti e 56 e di ricavarne uno slogan efficace da sventagliare nei talk-show. Ai tempi della Guerra civile spagnola, gli antifascisti non di maniera per dare un senso alle parole e agli ideali, si arruolarono nelle Brigate internazionali: 42 mila coraggiosi provenienti da 52 paesi che si batterono eroicamente contro le preponderanti truppe franchiste. A Guadalajara quegli eroi, tra essi anche politici e intellettuali, scrissero una pagina indimenticabile. Nessuno pretende che i nostri combattenti in piazza ripetano quelle gesta. Ma evitarci la solita solfa dell’armiamoci e partite sarebbe il minimo.