FdI vuole imparzialità ma dimentica La Russa. Il silenzio di Lega e FI. L’irritazione del Colle dopo le indiscrezioni di palazzo Chigi rimane. Il presidente del Senato ha rivendicato la sua libertà fuori dall’Aula 

(Giulia Merlo – editorialedomani.it) – Lo scontro istituzionale tra Quirinale e Fratelli d’Italia è chiuso a parole, ma apertissimo sia politicamente sia mediaticamente. Politicamente, per colpa del comunicato fatto filtrare da palazzo Chigi dopo il colloquio tra Giorgia Meloni e Sergio Mattarella: in quella sede la premier si era posta come sinceramente dispiaciuta dell’incidente, ma la velina uscita dai suoi uffici l’ha descritta ancora bellicosa nei confronti del consigliere del capo dello stato, Francesco Saverio Garofani.

Un voltafaccia, questo, che ha decisamente infastidito il Colle. Un fastidio non manifestato pubblicamente, ma fatto recapitare a chi di dovere per poi stimolare il comunicato successivo dei capigruppo di FdI, che hanno dichiarato «chiusa la questione» (aperta però sempre da loro con Galeazzo Bignami) senza fare riferimenti a Garofani. Basterà? Di certo l’irritazione rimane, anche perché al Colle nessuno dimentica l’illazione, bollata come «ridicola», di una presunta cospirazione quirinalizia contro il governo, per altro in nessun modo motivata dai virgolettati pubblicati. Tanto più che il «provvidenziale scossone» contro il governo Meloni attribuito a Garofani nell’editoriale del direttore della Verità, Maurizio Belpietro, e ripreso da FdI, non è mai stato pronunciato.

Mediaticamente la questione è altrettanto aperta. La mail anonima – inviata dall’account di tale Stefano Marini che conteneva un articolo firmato Mario Rossi poi ripreso dalla Verità che ha utilizzato lo pseudonimo Ignazio Mangrano – era arrivata a più giornali di area centrodestra e ora è caccia all’autore.

Del resto è emerso che la conversazione carpita e riportata nel pezzo è avvenuta durante una cena a piazza Navona organizzata da Luca Di Bartolomei a margine di un evento della fondazione dedicata a suo padre, l’ex giocatore della Roma Agostino Di Bartolomei. Erano presenti manager, esponenti dello sport, politici e giornalisti, tutti accomunati dalla fede romanista. Al tavolo con Garofani ci sarebbero state una ventina di persone e la “gola profonda”, secondo Dagospia e i ben informati, sarebbe già stata individuata. Si sa, il gossip è irresistibile e la caccia alla fonte uno sport molto praticato. Resta però un dubbio: esiste un audio? La Verità è rimasta sibillina su questo. Eppure, anche in assenza della pistola fumante, è stato lo stesso Garofani, in una conversazione con il Corriere della Sera, a confermare che effettivamente una conversazione sugli argomenti riportati dal quotidiano di Belpietro è avvenuta.

Il paradosso ulteriore, si ripete in ambienti d’opposizione, è che proprio Fratelli d’Italia oggi decida di ergersi a paladina dell’essere e apparire istituzionali in tutti i contesti, impartendo lezioni di contegno a un consigliere di Mattarella il cui nome è noto agli addetti ai lavori ma non certo di grande risonanza mediatica. Proprio in casa meloniana, infatti, alberga la maggiore contraddizione e a incarnarla è Ignazio La Russa, seconda carica dello stato e supplente del presidente della Repubblica in caso di suo impedimento.

Proprio lui è stato da subito il grande teorizzatore che l’istituzione la si incarna nell’esercizio della funzione nell’aula di palazzo Madama ma, sceso dallo scranno foderato di rosso, La Russa ha sempre orgogliosamente rivendicato il suo diritto a essere di parte.

Il paradosso La Russa

Una filosofia applicata sin da subito: già nel dicembre 2022, a due mesi dalla sua elezione, l’esponente di FdI ha pubblicamente celebrato il settantaseiesimo anniversario della nascita del Movimento sociale italiano, ribadendo la sua appartenenza alla tradizione post-fascista. Pochi mesi dopo, si è lanciato in dichiarazioni revisioniste sulla strage nazi-fascista delle fosse Ardeatine, definendo le SS presenti in via Rasella come «non nazisti, ma una banda musicale di semi pensionati». Addirittura, in occasione dei referendum sul lavoro e sulla cittadinanza promossi dai sindacati, ha pubblicamente preso posizione dicendo che si sarebbe «impegnato per l’astensione» perché «dalla sinistra c’è una campagna d’odio» e «il campo largo è morto». Di recente, infine, è entrato a gamba tesa nell’inchiesta sull’edilizia a Milano, che ha toccato anche la giunta di Giuseppe Sala. La Russa ha pubblicamente detto che «la giunta deve dimettersi» e così anche il sindaco Beppe Sala, «che non ha la maggioranza». In seguito a ogni pubblica presa di posizione sono poi arrivate le sue precisazioni, mezzi passi indietro ma anche rivendicazioni del suo diritto ad avere una opinione politica – e ad esprimerla giocando un ruolo attivo – perché il contegno istituzionale è circoscritto alla direzione dell’Aula. Tanto che La Russa ha continuato a partecipare a iniziative politiche.

L’obbligo di apparire sempre imparziale vale quindi per un consigliere del Quirinale, altrimenti FdI si sente legittimata a credere a retroscena su presunti golpe del Quirinale. Lo stesso obbligo, invece, non grava sul presidente La Russa, che fuori da palazzo Madama può orgogliosamente tornare a indossare la casacca di partito.

A distanza di sicurezza dal caso si sono tenuti gli altri partiti di maggioranza. La Lega ha commentato solo ieri, riprendendo il giudizio di «inopportunità» delle chiacchiere tra amici di persone che «per il ruolo che ricoprono, per delicatezza e rango, dovrebbero limitare» le conversazioni conviviali. Anche Antonio Tajani di Forza Italia si è limitato a parlare di crisi «rientrata», mentre i rispettivi parlamentari si sono trovati nel definire «incaute» (Francesco Paolo Sisto e Maurizio Gasparri) ed «evitabili» (Massimiliano Romeo) le esternazioni di Garofani. Solo FdI, fedele alla linea iniziale, ha proseguito nel difendere Bignami e solo uno, il senatore Marco Scurria, si è spinto a dire che il consigliere «potrebbe pensare a fare un passo indietro». Schermaglie o poco più, che però contribuiscono a non far spegnere il conflitto che Meloni ha cercato di mettere sotto la cenere.