(Tommaso Merlo) – L’Italia è una provincia marginale dell’impero americano che osserva da lontano il suo squallido declino. Ossequiosa, servile. Più che uno Stivale una Lingua leggermente rivolta verso Est. Ogni tanto a Roma scoppia qualche polemica da bar di natura paranoide e subito dopo si ripiomba in uno stallo che è economico ma anche politico, sociale e culturale. Nessuna visione, nessun vero dibattito, nessun entusiasmo. Il mondo è un mare in tempesta e l’Italia è alla deriva. Le statistiche dicono che di questo passo gli italiani scompariranno dalla faccia della terra, l’unica cosa che aumenta oltre ai prezzi sono le dimensioni dei cimiteri. L’Italia rimarrà una portaerei americana in disuso, una casa vacanze per pensionati del nord Europa mentre i vucumprà bangladesi mostreranno alle orde di turisti cinesi i capolavori rinascimentali e gestiranno gli stabilimenti balneari invece di fare avanti indietro sulla spiaggia così magari i lettini costeranno di meno. Degli italiani autoctoni resteranno giusto delle sparute comunità appartate nell’entroterra in cui si tornerà a vivere di una economia di sussistenza ricordando i bei tempi che furono. Nel resto del paese si parlerà swahili e mandarino, il cuscus prenderà il posto degli spaghetti e le tuniche il posto dei gessati. Tra gli artefici di tale capolavoro politico anche i patrioti de noialtri, i sovranisti che in nome della sacra patria volevano fermare il vento globale con le mani ed affrontare il futuro con la testa rivolta all’indietro. Verso giurassici rigurgiti ideologici per colmare un drammatico vuoto di contenuti. Leoni all’opposizione, pecorelle neoliberiste al potere. E dall’altra parte non sono messi meglio. Siamo in mano alle stesse classi dirigenti da decenni. Una mossa sensata se si trattasse di fenomeni, un vero e proprio suicidio se si tratta di professionisti della chiacchiera politichese e della poltrona vellutata. Per pulire i cessi della stazione serve un master post laurea, per governare un paese la quinta elementare. E più fallisci, più fai carriera. Basta che permetti alla tua cordata di salire e al sistema di galleggiare. Ed eccoci qui. Con al timone il peggio del paese, invece che il meglio. Politicanti che sprecano gran parte delle loro energie ad occuparsi del guardaroba, dei loro imperi materiali e social e di beghe tra loro invece che del bene comune. E quando si degnano di fare politica, non hanno né idee né capacità né slancio e così rimaniamo incastrati in un mediocre stallo che non è solo economico ma anche politico, sociale e culturale. Sotto una cappa asfissiante, storditi da una marketing elettorale ormai permanente e rapiti da una realtà sempre più virtuale e quindi manipolabile a piacere. Un vero e proprio suicidio nazionale, perché in un mondo che corre, se non tieni il passo sei spacciato. E soprattutto in fasi di drastico cambiamento come queste. Altro che slinguazzare gli stivali dell’ultimo imperatore americano, l’Italia deve posizionarsi in un mondo sempre più multipolare e continentale con fenomeni globali come quelli migratori destinati a stravolgere le nostre società. Per salvarsi l’Italia deve piazzare al timone i più validi, ma non solo. Deve ritrovare una rotta precisa e soprattutto condivisa. I capitani da soli non vanno da nessuna parte, serve un equipaggio e passeggeri affiatati. Serve partecipazione, unità d’intenti e valori condivisi che solo classi dirigenti all’altezza possono incarnare. Ed invece i politicanti non vedono oltre la prossima tornata elettorale e si godono satolli l’alta società. Se stessi first è il vero slogan di questa era. Tutti a lottare per strappare qualche briciola mentre la nave affonda ed i cittadini sono sempre più poveri, più vecchi, più amareggiati, con intere generazioni che fuggono all’estero in cerca perlomeno di aria più respirabile. Mentre quelli che restano disprezzano la politica al punto da non votare e non informarsi nemmeno più. Una crisi politica drammatica che mette a rischio la stessa democrazia. Siamo alla deriva ed è assurdo sperare in qualche miracolo. Lo insegna la storia, se i passeggeri non vogliono sprofondare negli abissi devono reagire, devono ammutinarsi e riprendersi il timone. Pacificamente, democraticamente ma ribellarsi all’interno dei partiti esistenti oppure creandone di nuovi. È questa l’unica speranza per l’Italia. Un sussulto della società civile che imparando dagli errori del passato, la smette di scannarsi a vicenda e farsi manipolare e si riunisce per dare vita ad una politica in grado di superare la tempesta e portare la malconcia nave italiana verso nuovi orizzonti.