(di Massimo Gramellini – corriere.it) – In un mondo dove ormai persino il calciatore più sprovveduto mette una mano davanti alla bocca anche solo per dire «ciao», si rimane stupiti dalla nonchalance con cui i potenti di ogni disordine e grado esternano il loro pensiero in pubblico senza prendere la benché minima precauzione. L’ultimo caso riguarda quel Garofani consigliere del Quirinale che si augurava, pare, uno scossone politico in grado di arginare Giorgia Meloni. E se lo augurava non a casa sua, tra commensali fidati, ma al tavolo di un ristorante del centro di Roma, luogo che ha lo stesso livello di riservatezza di una portineria.

Le cronache descrivono Garofani come uomo schivo e riservato, addirittura ermetico. Che cosa lo avrà spinto ad aprire la scatola dei suoi pensieri davanti a persone che conosceva a malapena e ad altre che non conosceva affatto? L’atmosfera del posto, il vino, il bucatino, l’involtino? O più banalmente i potenti sono meno furbi avveduti di come ce li immaginiamo? È la stessa domanda che mi faccio sempre davanti alla trascrizione di certe telefonate tra indagati illustri: ma perché avranno parlato così a ruota libera? Possibile non coltivassero il sospetto di essere ascoltati, intercettati, registrati? Lì almeno c’è l’attenuante del contesto: al telefono sei spesso da solo e finisci per illuderti che lo sia anche il tuo interlocutore. Invece in un locale pubblico è consigliabile, specie per un consigliere, mettersi una mano davanti alla bocca, e magari l’altra sulla coscienza.