
(di Michele Serra – repubblica.it) – “Penso che le Big Tech vadano trattate come sono stati trattati altri monopoli nella storia: smontandoli. Se non vogliamo vivere in un mondo che finisca nella proprietà di pochi, è l’unica cosa che possiamo fare”.
Lo dice Susanna Camusso, ex segretaria della Cgil, in un’intervista a questo giornale. Leggendo le sue parole quasi si sussulta, per quanto insolita è la loro drasticità: e viene da chiedersi come mai questo argomento — smontare monopoli giganteschi, che non hanno neppure bisogno di strozzare in culla la concorrenza, perché nessuno, in quelle culle, oserebbe più nascere — non sia al centro del dibattito politico mondiale; al punto che la sola idea di una battaglia politica contro i monopoli sembra un azzardo irrealistico, coltivabile solo in piccole cerchie radicali, e non una evidente urgenza della democrazia e financo del capitalismo, che ridotto in poche mani perde il suo potere di penetrazione e di contagio. La sua vitalità.
La lotta ai monopoli, le politiche antitrust, l’idea che la libera concorrenza fosse l’anima del libero mercato, furono, nel Novecento, argomenti all’ordine del giorno: non solo a sinistra, anche nel campo liberale. A parte gli aspetti giuridico-economici, viene da dire che anche il senso comune non porterebbe a simpatizzare per i “troppo grossi”.
Come si sia arrivati, in pochi decenni, alla totale complicità politica e alla quasi idolatria di massa per l’Impero dei Pochi, è un mistero che (forse) capiremo solo quando ne saremo usciti. Beato chi vivrà abbastanza per vederne la fine.
L’idea è buona, peccato che nei fatti riesca un attimino più difficile realizzarla… almeno “fino a un certo punto.”
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caro Serra alla domanda che poni alla fine dell’ articolo….i soldi isoldi i soldi…..inutile cercare tanti perché
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Era ora che l’ex giovane Serra si accorgesse, dopo tanti anni, che il capitalismo – per sua natura gli svelo io – tende alla dismisura sempre più eccessiva fino alle ricorrenti crisi di cui si nutre con regolarità per uscirne ulteriormente rafforzato. L’aveva capito già 2500 anni fa in Grecia il presocratico Anassimandro che additava l’apeiron come il male più pernicioso che potesse capitare alle società degli uomini. Mai nulla di troppo, recitava il motto scritto sul frontone del tempio di Delfi. Quando si eccede, poi gli Déi te ne faranno pagare amaramente il fio.
Devo avere, chissà in quale buco sepolto tra le mie carte di una vita, il resoconto assolutamente entusiastico (!) a firma Paolo Flores D’Arcais di un discorso pronunciato a cavallo tra anni ’80 e ’90 da Ochetto (rigorosamente con una c), impegnato eroicamente, come se la stupidità fosse una virtù, nella temperie dello scioglimento del PCI. In cui invocava che bisognava compiere il decisivo passo di adesione, sic et simpliciter, al CAPITALISMO. Attenzione: non prendere atto della sua esistenza, che sarebbe stato una cosa normale, ma proprio l’adesione convinta ad esso come scelta strategica per il bene della società (sic!). Insomma, il capitalismo riveduto e corretto (ah, dolce chimera!) come soluzione di tutti i mali. Cosa che ebbe a realizzare compiutamente il cinico baffetto premier D’Alema nei due governi da lui presieduti, i peggiori della storia d’Italia post guerra, che nei suoi discorsi soleva citare il nome di Tony Blair come refrain ripetuto fino alla nausea. Che al confronto, l’obiettivo di realizzare una sana socialdemocrazia sarebbe stato una finalità di assoluto valore rivoluzionario. No, era il capitalismo senza se e senza ma, la sua eclatante ambizione… fino ad arrivare ai giorni nostri in cui un sempliciotto Mamdami viene additato come esempio luminoso da imitare, come se il capitalismo assoluto di questi tempi potesse essere debellato semplicemente facendo pagare (cosa peraltro giusta) qualche tassa in più ai nababbi. E per tuuutto il resto da supporto?? Non ci è dato ancora sapere.
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