Forza Italia rivendica la paternità della riforma e la lega al nome del Cav. FdI teme che questo politicizzi il voto con inutili rivisitazioni del passato

(Giulia Merlo – editorialedomani.it) – I comitati per il sì proliferano e i sondaggi sono incoraggianti, eppure il centrodestra è tormentato da un dilemma in vista del referendum sulla giustizia, che porta il nome di Silvio Berlusconi.

Nume tutelare per Forza Italia che ha sempre e in ogni intervento pubblico ricordato come la separazione delle carriere fosse la sua storica battaglia, la sua fotografia ha sfilato in testa al piccolo corteo dopo il quarto sì al Senato. Di più, la figlia Marina Berlusconi è scesa pubblicamente in campo con una lettera al Giornale, esternando il ruolo che la famiglia dell’ex premier giocherà in questa campagna referendaria.

Forza Italia ha chiara la sua linea: intestarsi la riforma come primo sostenitore e propositore, legandola al nome del fondatore anche in chiave di vittoria postuma. Questa linea, però, trova fredda soprattutto Fratelli d’Italia. Non c’è nessuna avversione nei confronti del Cavaliere, ma una paura: che il suo nome legato alla giustizia trasformi il referendum in un sì o no su Berlusconi. Ovvero il leader più divisivo degli ultimi trent’anni di politica italiana.

Nessuno è disposto a dirlo apertamente ma, per riassumerlo con una voce che conosce le dinamiche di FdI, «il rischio è quello di trasformare questo in un referendum sul passato, invece che sul successo del governo Meloni».

In altre parole: l’indicazione della premier è quella di non politicizzare il referendum, mantenendolo sui temi tecnici così da non incorrere nell’effetto Renzi in cui la vorrebbe trascinare l’opposizione. E un modo per politicizzare il voto sarebbe anche trasformarlo in un referendum tra berlusconiani e antiberlusconiani, andando a solleticare un sentimento ormai fuori moda, che emotivamente però rischia di toccare corde profonde. Per esempio, quelle dei cittadini non elettori di centrodestra che voterebbero sì per il merito, ma no se percepissero la vittoria del sì come una rivincita nel nome di Berlusconi.

Tanto più visto che Fratelli d’Italia considera la riforma della giustizia il successo di Meloni e del suo ministro della Giustizia, Carlo Nordio. Proprio lui, indirettamente, ha trasmesso questo sentimento.

Nel giorno del quarto sì, alla domanda se fosse una vittoria dedicata a Berlusconi, ha risposto che «no, è una vittoria dedicata alla democrazia e a un’idea liberale della giustizia» e ha aggiunto di auspicare «che non vi sia uno scontro tra politica e magistratura», che invece è stato tratto tipico della stagione berlusconiana.

Le conseguenze

Anche per questo, dopo l’ebrezza del sì e il deposito delle firme per il referendum, ora per tutti i partiti di centrodestra è arrivato il momento della riflessione. Innanzitutto su un punto: costituire un comitato per il Sì? L’entusiasmo iniziale di Forza Italia faceva immaginare di sì, invece ora sembra aver subito un freno. O meglio essere stato canalizzato in modo diverso.

«Forza Italia farà, come partito che ha voluto la separazione delle carriere, la sua campagna referendaria per il Sì. I comitati sono un’altra cosa, coinvolgeranno la società civile e noi ne favoriremo la costituzione di quanti più possibile», spiega Enrico Costa, deputato da sempre in prima linea su questi temi. La settimana prossima ci sarà una riunione operativa per capire come procedere, tuttavia la sensazione interna è quella che un invito alla prudenza sia arrivato dagli alleati di FdI.

Eppure, su un aspetto FI non intende fare passi indietro: «Berlusconi? É innegabile che la riforma abbia la sua impronta e sia grazie alla sua perseveranza negli anni se oggi è andata in porto in parlamento», aggiunge Costa. Quindi il nome del Cavaliere non verrà messo da parte durante la campagna referendaria.

Ferma la preoccupazione che brandizzare così il referendum possa essere un boomerang, Fratelli d’Italia sta portando avanti con cautela la manovra di contenimento degli azzurri. L’intenzione è di farlo in modo sotterraneo, senza mancare di rispetto allo scomparso fondatore del centrodestra ma puntualizzando sempre che questa è una riforma figlia del governo Meloni, il quale punta a scavalcare per record di durata il governo Berlusconi e che è riuscito dove il Cav ha fallito.

Il ruolo della tv

Con un caveat, però. A nessuno in FdI è sfuggito come le reti Mediaset martellino, quando parlano della riforma, con i parallelismi del passato. A nessuno è sfuggito nemmeno il fatto che proprio la tv sarà fondamentale per la campagna referendaria, dunque infastidire la famiglia Berlusconi è un rischio da non correre.

Di conseguenza dalla bocca di nessuno dei meloniani uscirà mai una parola negativa nei confronti del Cav, ma solo attenti distinguo rispetto al fatto che quella appena approvata sia una riforma nell’interesse dei cittadini e non fatta per rianimare antichi conflitti o pareggiare i conti con la storia. Una riforma senza pantheon politici, se non il Giuliano Vassalli «padre del sistema accusatorio» sempre citato da Nordio o al massimo Giovanni Falcone.

Questo è il mantra di Meloni che è stato trasmesso ai parlamentari che andranno in televisione e sui palchi a perorare la causa del Sì: pragmatismo del merito, nessuna politicizzazione, rivendicazione del successo dell’attuale governo. L’unica linea di attacco, invece, dovrà riguardare le eventuali prossime decisioni della magistratura che tocchino la politica, da utilizzare come leva per enfatizzare il debordamento delle toghe in un campo non loro. Così, è il ragionamento che passa in via della Scrofa, i magistrati e l’Anm finiranno per danneggiarsi da soli.

Nessuno potrà dire a Forza Italia come gestire la sua comunicazione, tuttavia movimenti sotterranei sono in corso per allineare la maggioranza nel privilegiare l’argomentazione tecnica alla rievocazione nostalgica.