Gli inizi con Beppe Grillo, poi l’arrivo di Casaleggio. L’attuale gestione di Conte è totalmente diversa dai primi anni. Serve più partecipazione, recuperando figure come Di Battista

(di Massimo Fini – ilfattoquotidiano.it) – Ho partecipato a tutti i “vaffa” di Beppe Grillo fin dalle origini. All’inizio, quando stava passando da comico a politico, Beppe mi chiedeva dei consigli. E io glieli davo, tutti sbagliati.

C’è una scena allo Smeraldo dove Beppe, con un mazzapicchio, frantuma un televisore. Per buona sorte arrivò Gianroberto Casaleggio che indirizzò il Movimento verso la moderna tecnologia, in particolare digitale. Ho conosciuto anche Casaleggio, nella misura in cui si poteva conoscere un uomo sostanzialmente molto timido e riservato. Quando lo incontrai la prima volta feci una gaffe. Casaleggio era appena apparso all’orizzonte e tutti naturalmente lo cercavano. Lo incontrai per un’intervista che doveva farsi nella sede dei 5Stelle, in via Moroni. Mi fu presentato ma io non ne percepii bene il nome. Intanto Casaleggio mi stava facendo una pippa interminabile e io friggevo perché avevo da lavorare. Infine l’intervista non me la fece Casaleggio ma un giovane, Paolo Pecoraro. Io gli chiesi: “Ma è vero che quel tipo coi capelli lunghi in modo insopportabile si chiama Ze Roberto come la mezzala del Bayer Leverkusen?”. Mi rispose: “Ma è Gianroberto Casaleggio”. Insomma tutti cercavano questo misterioso Casaleggio e io, che l’avevo avuto davanti, non me n’ero accorto. Paolo Pecoraro, un ragazzo di indubbio valore, se ne andò poi dal Movimento o ne fu espulso, perché è quasi una regola dei 5Stelle farsi del male.

Era quella l’epoca dei movimenti sostanzialmente anti-partitocratici. Oltre i 5Stelle c’era Micromega, di Paolo Flores D’Arcais, che faceva una battaglia contro le leggi “ad personam” e “ad personas” di Berlusconi. Nel 2002, al Palavobis di Milano, in un’assemblea organizzata da Flores c’eravamo tutti: Marco Travaglio, Dario Fo, Di Pietro, Sabina Guzzanti, Furio Colombo. Eravamo in 40 mila (e 100 mila nella successiva manifestazione in piazza San Giovanni a Roma, a cui assistette anche un preoccupato Massimo D’Alema). Io, che ero capitato lì quasi per caso, improvvisai un discorso di cui riproduco qui una sintesi. In terra di Spagna il presidente del Consiglio (Berlusconi) aveva affermato che in Italia c’era una guerra civile scatenata dai magistrati. Ecco la sintesi: “Visto il rispetto che il presidente del Consiglio ha per le leggi e le istituzioni noi siamo autorizzati a metterci alla sua altezza o bassezza, se volete, e avere lo stesso rispetto, o meglio mancanza di rispetto, per le leggi, per lo Stato, per il presidente del Consiglio e per il suo governo. Tanto più che quando il capo del governo controlla direttamente o indirettamente tutto il sistema televisivo questo Paese non è più un Paese democratico, è un regime. Bisogna prenderne atto e trarne le conseguenze. Il Pg di Milano, Borrelli, ha detto che bisogna resistere. No, bisogna fare di più, bisogna reagire. E cioè basta con la buona educazione, con le buone maniere, col buon e civile argomentare, con la logica. Perché questi non rispettano né la logica né i principi. Non si può continuare a battersi con una mano dietro la schiena contro chi non solo le usa tutte e due, ma usa anche un randello… coi furfanti bisogna comportarsi da furfanti. Mi appoggio qui ad un’autorevole personalità, il compagno Sandro Pertini, che diceva: a brigante, brigante e mezzo!”. Per quella frase il ministro della Giustizia, Roberto Castelli, leghista, nel salotto del sempiterno Vespa, minacciò di arrestarmi. Ma siccome non è compito del ministro della Giustizia, a meno che non si chiami Nordio, arrestare chicchessia, la cosa finì nel ridicolo.

Fra i Movimenti antipartito va ricordata anche la prima Lega di Umberto Bossi. Nel 2003 nasce anche il mio “Movimento Zero. Manifesto dell’Antimodernità”, in dieci punti che condivido tuttora, riga per riga. Firmato anche da Alain de Benoist e Gianfranco Funari, che ebbe una parte importante nella stagione di Mani pulite. Perché in fondo anche Mani pulite, senza essere un movimento, cercava di riportare la classe dirigente politica e imprenditoriale al rispetto di quella legge che tutti noi dobbiamo osservare. I protagonisti di Mani pulite furono sostanzialmente quattro: il pool di Milano, Di Pietro in testa; Gianfranco Funari che metteva, per usare il suo linguaggio, il “Potere in mutande”; io e l’Indipendente, diretto da un Vittorio Feltri molto diverso da quello di oggi, che ora, per farsi un po’ di pubblicità, si è inventato pugile all’altezza di Mike Tyson e Rocky Marciano.

Dicevo di Paolo Flores. Per un certo periodo lavorò per noi di Pagina, diretto da quel genio misconosciuto di Aldo Canale, bravissimo in tutto, nell’impaginazione (chi abbia voglia e tempo si procuri le edizioni di Pagina in versione settimanale) e, oltre a tutto il resto, grande talent scout. È stata Pagina a portare all’onor del mondo monsignor Ernesto Galli della Loggia, un ancora sconosciuto Paolo Mieli, Rosellina Balbi. Il nostro “ragazzo di bottega” era il giovanissimo Pigi Battista. Pagina era un giornale lib-lab con venature anarchiche, quelle le portavo io. Canale era inviso ai socialisti per la sua indipendenza. Quindi ci tolsero la poca pubblicità (come settimanale vendevamo 13 mila copie, che non sono poche). Fu Bettino Craxi, il mascalzone, l’unico politico che ci appoggiava, naturalmente senza sborsare quattrini, perché ce l’aveva col sindacalista Giorgio Benvenuto. Eravamo un giornale autogestito, come oggi il Fatto. Craxi pretese la defenestrazione di Canale a favore di Della Loggia. Mi ricordo una cena con i nuovi imprenditori, gente peraltro di tutto rispetto, in cui il gioco era di sparlare di Canale. Mi alzai e dissi: “Ancora una parola contro Aldo e me ne vado”. A quel punto si fermarono, perché di me avevano bisogno. Diretto da Della Loggia, Pagina durò un anno.

Ho quindi una certa dimestichezza coi movimenti e in particolare con quello dei 5Stelle. Quindi credo di poterne parlare a ragion veduta. I 5Stelle di oggi non mi convincono per nulla. Non mi convince innanzitutto il loro attuale presidente, Giuseppe Conte (mi auguro che Travaglio, che ha raccontato i ben tre “conticidi”, robb de matt, non mi licenzi). Partiamo dal fatto concreto che con Grillo e Casaleggio – un amalgama quasi perfetto perché Grillo era il frontman e Casaleggio colui che aveva una visione, forse anche un po’ troppo “visionaria” – il M5S era al 33% dei consensi, mentre con Conte alle Europee è sceso al 9,9%. Certo, dalla rottura fra Grillo e i 5Stelle sono cambiate anche molte cose, ma Conte non è stato capace di intercettarle. Quello che sembra mancare all’attuale Movimento è un po’ di passione, quella che portava Alessandro Di Battista, che da giovane era un mio fan, aveva letto quasi tutti i miei libri. Ma, l’anno scorso, durante un pranzo alla Festa del Fatto, dove ero stato aggregato arbitrariamente allo staff del quotidiano, quando dissi a Conte se Di Battista poteva avere ancora un ruolo nel M5S, lui fece un un’espressione di diniego.

Conte è deludente soprattutto sul piano della comunicazione, troppo da avvocato, qual è, troppo razionale, mentre se si fa politica bisogna parlare anche alla pancia dei cittadini. Giorgia Meloni dirà anche cazzate, ma col suo linguaggio semplice, popolano (quello che permise a Di Pietro di mettere sotto gli azzeccagarbugli col suo linguaggio contadinesco: “che c’azzecca?”) da questo punto di vista lo batte 10 a 0. Ricordo un solo coup de théâtre di Conte: quando si alzò in pieno Parlamento e chiese ai deputati e ai senatori di fare lo stesso a favore dei palestinesi e di Gaza. È quindi urgente che Di Battista, che tra l’altro collabora anche per il Fatto, la smetta di fare il Che Guevara per meno abbienti e ritorni a far politica. Forse, come afferma Conte, non sarà utile ai 5Stelle, ma lo sarà in generale alla politica, dove ciò che soprattutto oggi manca è proprio la passione.

Caro Massimo, figurati se ti licenzio. Ma ti ricordo anche la faccia perplessa di Di Battista, quel giorno. E ti rammento che fu Grillo a suicidare i 5S conficcandoli contro natura nel governo Draghi. Salvo chiamare d’urgenza Conte a salvarli e poi sabotarlo perché teneva testa a Draghi su giustizia, riarmo e politiche sociali: il Dna dei 5Stelle. Se sono ancora il terzo partito, è un miracolo.
M. Trav.