Nel suo computer. Dopo la strage di Capaci qualcuno mise le mani nei suoi documenti, ma cercò soltanto files sull’omicidio del presidente siciliano e Gladio

(di Roberto Scarpinato – ilfattoquotidiano.it) – Le indagini sull’omicidio di Piersanti Mattarella segnarono una drammatica svolta nella vita di Giovanni Falcone. Indagando su quel delitto e sugli altri omicidi politico-mafiosi che lo avevano preceduto e seguito, si era reso conto, come accennò in una seduta della Commissione Antimafia del 3 novembre 1989, che mentre al Nord i registri della strategia della tensione si erano avvalsi dell’estremismo di destra come braccio armato per eseguire stragi e omicidi, in Sicilia si erano avvalsi della mafia.
La causale mafiosa offriva una ottima copertura di causali politiche che dovevano restare occulte. Per questo motivo, come denunciò in altra seduta del 22 giugno 1990, si era verificato un grave tentativo di depistaggio istituzionale delle sue indagini sull’omicidio Mattarella per dirottarle dalla pista nera a quella mafiosa. Nei mesi che precedettero la sua richiesta nell’ottobre 1989 di un mandato di cattura per Giusva Fioravanti e Gilberto Cavallini, erano entrate in campo “le menti raffinatissime”, con l’anonimo del Corvo e l’attentato contro di lui all’Addaura.
Da allora era stato segretamente monitorato da alcuni vertici delle Forze di Polizia che redigevano note riservate su suoi atti di indagine coperti da segreto, come l’interrogatorio di Licio Gelli. Aveva capito troppo e non era disposto a fermarsi. Le indagini sui delitti politico-mafiosi era rimasti al centro della sua attenzione ed erano stati la causa del suo conflitto con il procuratore capo Giammanco, come è attestato dai brani del suo diario pubblicati nel giugno 1992, e come dichiarai al Csm il 29 luglio 1992, per essere stato diretto testimone di un acceso scontro proprio su questa materia incandescente durante il quale Falcone era arrivato al punto di minacciare le dimissioni da coordinatore delle indagini.
Pochi mesi prima di essere assassinato, in un incontro riservato a Roma mi aveva confidato che era quasi certo di essere nominato Procuratore nazionale antimafia, e mi chiese di presentare domanda per quell’ufficio perché “avremmo potuto finalmente svolgere le indagini che sino ad allora ci avevano impedito”.
Poco tempo prima – ha dichiarato il collaboratore di giustizia Francesco Di Carlo, boss in contatto sin dagli anni Ottanta con alcuni vertici dei servizi segreti – alcuni esponenti dei servizi avevano chiesto la collaborazione della mafia per neutralizzare Falcone perché era divenuto troppo pericoloso.
Dalle dichiarazioni convergenti di vari collaboratori risulta che Riina cambiò il programma di uccidere Falcone a Roma con armi da fuoco, come era stato deciso dalla Commissione regionale di Cosa Nostra per depistare le indagini e fare ricadere la responsabilità sui servizi, e di ucciderlo invece a Palermo in modo eclatante, dopo avere avuto nel febbraio-marzo 1992 un incontro con un personaggio talmente autorevole da indurlo a richiedere una nuova convocazione urgente di una ristrettissima cerchia di super capi regionali per ottenere il loro consenso a cambiare programma, superando la loro riluttanza.
Quarantotto ore prima della strage di Capaci una agenzia di stampa, facente capo a soggetti già coinvolti nelle indagini per la strage di Bologna, annunciò che di lì a poco vi sarebbe stato un grande botto per interferire sulle elezioni in corso del nuovo presidente della Repubblica.
Dopo la strage ignoti si introdussero nella stanza di Falcone al ministero della Giustizia, posta sotto sequestro dalla Procura della Repubblica di Caltanissetta e, acceso il suo computer, esaminarono solo alcuni files: quelli sull’omicidio Mattarella e su Gladio, struttura sulla quale Falcone aveva acceso la sua attenzione ritenendo possibile un coinvolgimento della sua componente deviata e occulta nei delitti Mattarella e di Pio La Torre.
Dopo la morte di Falcone nel processo per l’omicidio di Mauro Rostagno è stato acquisito un dispaccio segretissimo alla cellula Gladio di Trapani, destinato a essere distrutto ma di cui il destinatario salvò una copia, che riguardava una operazione da eseguirsi nei giorni dell’attentato all’Addaura a circa 500 metri dalla villa di Falcone.
La Corte di Assise di Bologna che ha condannato per la strage di Bologna del 2 agosto 1980 Gilberto Cavallini quale esecutore, unitamente a Fioravanti, Mambro e Ciavardini, ha dedicato quasi cento pagine della motivazione per rivisitare la pista nera dell’omicidio Mattarella seguita da Falcone, ritenendola fondata anche alla luce di nuove prove sopravvenute, e ha ribadito l’esistenza di una connessione tra le causali politiche di quell’omicidio e quelle della strage.
Un ulteriore passo avanti in questa direzione è stato compiuto con un’altra sentenza divenuta definitiva nel luglio 2025, che ha ritenuto che quella strage fu eseguita su mandato di Gelli con la collaborazione di Umberto Federico D’Amato, capo dell’Ufficio affari riservati del ministero degli Interni, e di Mario Tedeschi ex repubblichino ed esponente di spicco del neofascismo, condannando come ulteriore esecutore Paolo Bellini, esponente di Avanguardia Nazionale e uomo collegato ai servizi.
Si tratta dello stesso Paolo Bellini nel 1991 e nel 1992 si recò in missione a Palermo e, come dichiarato dai vari collaboratori di Giustizia esecutori della strage di Capaci, suggerì ai mafiosi di alzare la posta eseguendo attentati ai beni artistici nazionali per destabilizzare lo Stato.
Sebbene i suoi contatti con i mafiosi fossero stati portati a conoscenza già nel 1992 di autorevoli vertici delle Forze di Polizia, nessuno informò la magistratura né dispose alcuna indagine. Anzi un documento molto rilevante che costituiva corpo di reato fu distrutto.
Tutto ciò e molto altro non interessa minimamente la maggioranza politica della Commissione antimafia che si rifiuta ostinatamente da quanto si è insediata di svolgere qualsiasi indagine conoscitiva su tutte le piste che potrebbero condurre a ricostruire le causali politiche occulte delle stragi del 1992 e del 1993, spiegare i depistaggi e la partecipazione di soggetti esterni.
Un disinteresse che si abbina al fortissimo ostracismo dei palazzi del potere nei confronti di tutti coloro – magistrati, giornalisti d’inchiesta, parlamentari – che in questi anni nella diversità dei loro ruoli hanno tentato di dare un contributo per portare alla luce i segreti inconfessabili che si celano dietro quelle stragi e di riannodare i fili che sembrano collegarle a quelle precedenti e ai delitti politici, come parti di un’unica storia, seguendo la traccia lasciata da Falcone.
Sotto al tappeto ha da restare il segreto che seppure ormai noto non dev’esser provato e chi ci ha tentato con la vita ha pagato e chi l’ha occultato è assoggettato e legato a un sistema perverso al dominio votato che ha retto e reggerà fin quando, chissà, sepolto un bel giiorno sarà…avverrà? Mah, beato chi lo sa.
"Mi piace"Piace a 2 people
Pinzallacchere, quisquilie. È più opportuno però analizzare tutti i giorni ogni virgola della vicenda di Garlasco e attendere il momento in cui Piantedosi in persona abbatterà un muro per entrare negli appartamenti occupati da CasaPound.
"Mi piace"Piace a 6 people
Il solo fatto che la commissione antimafia, da quando si è insediata, si rifiuti ostinatamente di svolgere qualsiasi indagine conoscitiva su tutte le piste che potrebbero portare a ricostruire le causali politiche occulte delle stragi del 1992 e 1993, rappresenta di per sé un’ammissione implicita del coinvolgimento dei destrorsi.
Se poi aggiungiamo che la suddetta commissione — già ben infarcita di destri & maldestri — ora vuole espellere anche i magistrati Scarpinato e Cafiero de Raho, il quadro si completa: un secondo indizio che, come si suol dire, fa quasi una prova. Una prova della loro malafede e di un pregiudizio che suona come autocertificazione d’interessi oscuri.
"Mi piace"Piace a 6 people
“Tutto ciò e molto altro non interessa minimamente la maggioranza politica della Commissione antimafia che si rifiuta ostinatamente da quanto si è insediata di svolgere qualsiasi indagine conoscitiva su tutte le piste che potrebbero condurre a ricostruire le causali politiche occulte delle stragi del 1992 e del 1993, spiegare i depistaggi e la partecipazione di soggetti esterni.”
E’ il cuore dell’articolo a mio avviso.
Quello che più colpisce è come in Italia si discuta senza sosta di dettagli, di “derivate”, perdendo però di vista la funzione principale. Brevemente: la velocità è la derivata dello spazio rispetto al tempo; in Italia si discute della velocità, ma lo spazio, il problema strutturale, viene ignorato.
Anche magistrati come Scarpinato non sono esenti da questo errore: ci si concentra sui dettagli dei processi e delle indagini, mentre la struttura che permette la mafia e i depistaggi rimane intatta.
Il problema non è solo la commissione antimafia che si disinteressa, ma la società che, a maggioranza, ignora queste questioni.; Se ti fai una passeggiata nella via o piazza principale del tuo paese e chiedi a quanti interessano queste cose te ne ritorni a casa con le palle lacerate dallo strisciamento sull’asfalto.
La Commissione riflette questa realtà: se chi elegge i rappresentanti è in gran parte disinteressato, è difficile aspettarsi che le cose cambino.
Questi fatti e le problematiche dei depistaggi, dei servizi deviati e delle responsabilità politiche non sono novità: sono presenti da oltre 30 anni; eppure siamo ancora qui a discuterne, senza aver affrontato la questione strutturale.
Non viene il dubbio che il problema vero non è tanto la commissione antimafia che a maggioranza si disinteressa ma il fatto che i cittadini, a maggioranza, si disinteressano?
Il nodo centrale è il senso civico. Dove esso manca, la mafia può infiltrarsi nelle istituzioni, la corruzione prospera e i depistaggi restano impuniti, perché la popolazione non esercita pressione sullo Stato.
La vera sfida non è solo criticare chi si disinteressa formalmente, ma capire perché la società nel suo insieme non si interessa e come questo disinteresse alimenti il paradosso italiano: si celebra l’eroe Falcone, ma non si creano le condizioni perché la sua opera produca cambiamento reale.
"Mi piace"Piace a 1 persona
C’è da tenere in conto anche la rassegnazione popolare riveniente dalla consapevolezza ormai “genetica”, per i numerosi secoli da che accadono cose simili, che, allo stato attuale delle cose, nulla possiamo.
E siccome nulla possiamo entra in ballo la resilienza o spirito di conservazione che la si voglia chiamare.
In psicologia: Evitamento;
Negazione;
Repressione;
Escapismo.
"Mi piace"Piace a 4 people
“Tutto ciò e molto altro non interessa minimamente la maggioranza politica della Commissione antimafia che si rifiuta ostinatamente da quanto si è insediata di svolgere qualsiasi indagine conoscitiva su tutte le piste che potrebbero condurre a ricostruire le causali politiche occulte delle stragi del 1992 e del 1993, spiegare i depistaggi e la partecipazione di soggetti esterni”.
Tutte le commissioni antimafia precedenti alla attuale hanno proceduto seguendo le piste mafia-politica, nella speranza di conoscere la verità sulle stragi che causarono la morte di Falcone e Borsellino. Purtroppo, “non cavarono un ragno dal buco” forse perché gli indagatori applicavano nell’indagine un approccio ideologico “emblematico dei teoremi con cui parte della magistratura ha costruito processi fallimentari a cominciare dal depistaggio del primo giudizio per la strage di via D’amelio”
Se tutte le indagini precedenti sono stati fallimentari, giustamente l’attuale commissione vuole seguire una pista alternativa “mafia appalti” sulla quale sono convinti anche i figli di Borsellino. Chi ha paura che seguendo questa pista si possa pervenire alla verità?
"Mi piace""Mi piace"
Sei sempre e solo un TR0LL da 4 soldi.
Chi ha paura di capire come mai Bellini andò a suggerire gli attentati alle zone artistiche dell’Italia?
E come si può seriamente pensare che far fuori Falcone e Borsellino sia stata un’idea per risolvere le indagini sugli appalti?
I figli di Borsellino non brillano per acume se pensano che sia davvero così.
"Mi piace"Piace a 2 people
Meno male che siete in tanti a brillare per acume. Ed è grazie al vostro acume che sono stati inventati “teoremi con cui sono stati costruiti processi fallimentari” se oggi non conosciamo i mandanti delle stragi che hanno insanguinato l’Italia nel secolo scorso.
E, dopo numerosi processi, non abbiamo mai conosciuto i protettori dei brigatisti che rapirono Moro.
"Mi piace""Mi piace"
E che caxxo c’entrano le indagini di Moro con quelle di Borsellino?
Ripeto: TR0LL.
"Mi piace"Piace a 2 people
I TERRORISTI FASCISTI DEI NAR: FIORAVANTI , MAMBRO , CIAVARDINI , CAVALLINI, BELLINI SPIETATI ASSASSINI SONO GLI STRAGISTI DELLA STAZIONE DI BOLOGNA PAGATI DALLA P2 DI GELLI A SUA VOLTA FINANZIATO DALLA CIA ED I SERVIZI DI UN ANTISTATO FASCISTA ALL’INTERNO DELLO STESSO . COSTORO SONO COLPEVOLI ANCHE DELL’ASSASSINIO DI PIERSANTI MATTARELLA , DEL GIUDICE MARIO AMATO E DEI POLIZIOTTI DI ROMA STRAULLU ARNESANO EVANGELISTA . SONO IRRIDUCIBILI , MAI PENTITI E NONOSTANTE CIO’ E GLI ERGASTOLI LORO INFLITTI, SONO LIBERI DA DECENNI PER RISIBILI BENEFICI DI LEGGE , COSTORO PASSEGGIANO TRANQUILLI PER ROMA E DINTORNI , PROTETTI DAL LORO SILENZIO TOMBALE SULL’ANTISTATO FASCISTA ALL’INTERNO DELLO STATO E LA P2 DI GELLI FINANZIATA DALLA CIA CON I SERVIZI LORO COMPLICI….
"Mi piace"Piace a 3 people
GIUSVA FIORAVANTI E’ IL KILLER DI PIERSANTI MATTARELLA .FU RICONOSCIUTO CON ASSOLUTA CERTEZZA DALLA VEDOVA SEDUTA A FIANCO DI MATTARELLA . NONOSTANTE IL RICONOSCIMENTO NON FU CREDUTA…. PERCHE’?? CHI ERANO I GIUDICI DELLA CASSAZIONE CHE NON CREDETTERO ALLA VEDOVA TESTIMONE OCULARE ED ASSOLSERO I TERRORISTI FIOIRAVANTI E CAVALLINI ???
"Mi piace"Piace a 1 persona