(di Michele Serra – repubblica.it) – Sono tra i tanti bene impressionati dal lavoro di Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati. Ha riferito con chiarezza, e senza reticenze, quanto accadeva e accade a Gaza. E lo ha fatto con responsabilità ben superiori a quelle di un qualsiasi opinionista. Tra tanti burocrati, mi è parsa una persona in grado di restituire finalmente alle istituzioni un linguaggio franco e non ipocrita.

In virtù di questa stima, rimango male impressionato dalla maniera brusca, e molto ex cathedra, con la quale Albanese affronta, sulla scena pubblica, le divergenze di opinioni su una materia — i diritti umani — che è delicatissima di per sé, e tanto più dovrebbe esserlo per Albanese, esperta di diritto internazionale e, appunto, diritti umani.

Già diffuso dalle cronache l’episodio di Reggio Emilia, con il sindaco (che la stava premiando) fischiato da alcuni per avere ricordato anche le vittime del 7 ottobre, e la premiata che gli ha espresso il suo «perdono» (a che titolo?) per avere osato tanto, a patto che mai più si permetta di dire ciò che ha detto. Ora si aggiunge l’abbandono di un talk show nel momento, non credo casuale, nel quale un esponente di destra, citando Liliana Segre, si è detto in disaccordo con il concetto di genocidio.

Albanese, su Gaza, è un’autorità, non una militante. E mentre di militanti se ne trovano a bizzeffe, sono le autorità che difettano. A parte questo non credo che il mondo abbia bisogno di rimproveri: ha un disperato bisogno di ragione, di informazione e ove possibile di gentilezza. E volendo entrare anche nel merito della militanza: la sinistra rimproverante ha fatto il suo tempo, è di quella convincente che si sente la mancanza.