Ha ragione Andrea Scanzi quando scrive che se la destra italiana volesse sul serio bloccare gli hater odiatori che intossicano la Rete, “basterebbe impegnarsi a rendere obbligatoria […]

(di Antonio Padellaro – ilfattoquotidiano.it) – Ha ragione Andrea Scanzi quando scrive che se la destra italiana volesse sul serio bloccare gli hater odiatori che intossicano la Rete, “basterebbe impegnarsi a rendere obbligatoria l’identità digitale in maniera tale che tutti (molto più di adesso) debbano rispondere penalmente di quel che scrivono sui social”. Ma il governo e compagnia cantante si guardano bene dal procedere contro la cloaca a cielo aperto, perché da quei luoghi mefitici tutti attingono voti (sinistra compresa). E poi alla politica in senso lato fa piuttosto comodo usare l’odio della Rete per alimentare, sui giornali e sulle tv che festosamente ci campano, le ondate di vittimismo preelettorale. Senza contare che un’identità digitale trasparente, oltre a smascherare la moltitudine dei dementi da tastiera che si celano dietro un Pippo 97, porterebbe alla luce l’uso truffaldino dell’IA. Nel produrre, tramite algoritmi, vaste quantità di porcate anonime onde soddisfare le richieste della gentile clientela. In un mondo non infestato da squilibrati armati fino ai denti invece di esultare per l’assassinio dell’attivista trumpiano Charlie Kirk anche chi rigettava le sue idee come reazionarie, bigotte e omofobe avrebbe potuto più utilmente imparare qualcosa dal metodo che lo aveva reso popolare. Egli affrontava gli avversari andando a parlare nella tana del lupo: le università americane culla del wokismo e antiMaga per definizione. Agli studenti che lo consideravano, non del tutto a torto, un pericoloso fascista replicava: cercate piuttosto di convincermi con i vostri argomenti. E, naturalmente, usava l’espediente retorico per convincere lui quante più teste poteva in quel mondo ostile e schierato su questioni identitarie come l’aborto, i diritti LGBTQ+, il no alle armi, il ruolo della religione nella vita pubblica, i programmi scolastici, la lotta al razzismo. Durante i suoi dibattiti nei campus, da un gazebo con la scritta Prove me wrong (“dimostrami che sbaglio“) rispondeva alle domande del pubblico con ostentata spavalderia, spesso cercando di umiliare i suoi interlocutori progressisti, più che ragionare con loro. Basta che funzioni, come diceva Woody Allen. Funzionava, a giudicare dalla quantità di giovani convertiti alla religione di Donald. Dal che si potrebbe dedurre che, a differenza del modello per così dire dialettico di Kirk, la violenza sia l’unico linguaggio praticabile dall’imbecille collettivo. Che, infatti, in Internet riesce a manifestarsi con brevi frasi primitive, preferibilmente virate sugli insulti non essendo costoro in grado di articolare un concetto di senso compiuto. Ai tempi del ’68 i leader della contestazione annoiavano le assemblee con lunghi pistolotti intrisi di marxismo mal digerito, ma qualcosa almeno avevano letto. I ProPal che a Pisa hanno aggredito un docente, ai loro occhi colpevole di “sionismo”, oltre a strillare qualche slogan non sapevano come argomentare il loro dissenso. E non è che i modelli dialettici della politica diano il buon esempio, come dimostra la mezza rissa dell’altro giorno alla Camera dopo il voto sulla separazione delle carriere.