La destra messianica da Donald a Bibi

(ETTORE SEQUI – lastampa.it) – L’incursione guidata ieri dal ministro israeliano Ben-Gvir sulla Spianata delle Moschee non è un episodio isolato. È un gesto simbolico, una sfida diretta e una dichiarazione di sovranità su uno dei luoghi più sensibili del conflitto israelo-palestinese. Mentre crescono i riconoscimenti diplomatici dello Stato palestinese, sul terreno prende corpo una logica opposta: non la negoziazione, ma la scontro.
La destra messianica israeliana non si limita a normalizzare l’occupazione: la trasforma in rito politico. Sventolare la bandiera della sovranità ebraica nel cuore conteso di Gerusalemme equivale a svuotare in anticipo ogni ipotesi di compromesso. Le parole del ministro della Difesa Katz, che annuncia l’intenzione di rafforzare la sovranità israeliana su Gerusalemme, incluso il Monte del Tempio, spostano il conflitto dal piano militare a quello della sacralità geopolitica: chi impone la propria narrativa religiosa conquista lo spazio politico. Non solo contro Hamas, ma contro ogni prospettiva multilaterale che contempli uno Stato palestinese. È una dichiarazione esplicita di disinteresse per ogni processo diplomatico. Mentre si dibatte su tempi e modalità di un futuro negoziato, la destra messianica al governo vuole dimostrare che il presente è già irreversibile.
Il divario tra diplomazia e realtà militare è evidente. I numerosi riconoscimenti dello Stato palestinese hanno valore simbolico, morale e politico, ma non alterano i rapporti di forza. Hamas resta armato. Israele rafforza la morsa su Gaza, con costi umanitari insostenibili. Washington non propone soluzioni. L’Europa oscilla tra riconoscimento simbolico dello Stato palestinese e impotenza operativa.
Il nodo resta immutato: Hamas condiziona il disarmo – richiesto da Israele, Usa, Ue e Lega Araba – al pieno riconoscimento dello Stato palestinese. Ma finché Hamas resta armato, la creazione di uno Stato, sempre più ostacolata dalla guerra a Gaza e dagli insediamenti in Cisgiordania, resta irrealizzabile. Un circolo vizioso che paralizza ogni soluzione.
Intanto, Hamas mostra segni di logoramento interno. Accanto a una crisi crescente di legittimità, emergono milizie locali che controllano parti della Striscia e, per la prima volta, dichiarano un coordinamento con Israele. Si tratta di reti tribali semi-criminali, ormai fuori dal suo controllo. Non è ancora un’alternativa politica, ma l’unità di comando è visibilmente incrinata.
Dopo sei mesi di presidenza, Trump mostra segni d’impazienza e irritazione, ma non è in grado di proporre una strategia efficace. Ogni ipotesi d’iniziativa si scontra con due vincoli strutturali: la fragilità del governo Netanyahu e il peso politico della base evangelica americana.
Il governo Netanyahu è sempre più ostaggio della destra messianica e indebolito dal ritiro di due partiti, in rotta sul tema della coscrizione degli ultraortodossi. Anche Trump è vincolato da un asse, spesso invisibile ma influentissimo, tra messianici israeliani ed evangelici americani.
Gli evangelici non vedono Israele solo come alleato politico, ma come attore teologico, parte di un disegno divino in cui la restituzione della Terra Promessa agli ebrei è condizione per la seconda venuta di Cristo. In questa visione, uno Stato palestinese è inaccettabile spiritualmente, prima ancora che politicamente. La destra religiosa americana condivide con Smotrich e Ben-Gvir la visione della terra come spazio sacro, indivisibile, non negoziabile. Israele diventa una bandiera identitaria della destra cristiana, e sostenerne l’integrità è parte della battaglia politica interna.
Per Trump, rompere con questo blocco significherebbe rischiare la coesione della propria base. Non a caso, l’ambasciatore Usa in Israele, Huckabee, è un evangelico e pastore battista con una lunga storia di attivismo pro-Israele.
Come uscire da questo vicolo cieco? È possibile che gli Stati Uniti rilancino una versione aggiornata del Prosperity Plan, presentato da Trump nel 2020: investimenti nei Territori palestinesi e ampia autonomia ma senza uno Stato completamente sovrano. Sarebbe uno strumento tattico per aggirare lo stallo. In questo quadro, il ruolo dell’Arabia Saudita sarebbe cruciale. Riad ha tessuto una tela diplomatica efficace, senza un approccio conflittuale verso Israele, riuscendo a spostare vari Paesi su posizioni più filo-palestinesi. Una fase intermedia di autonomia – che nella visione saudita dovrebbe evolverse verso due Stati – sarebbe un compromesso temporaneo.
L’equilibrio è instabile. Il riconoscimento dello Stato palestinese è importante, ma non basta. I vincoli interni e internazionali dei principali attori sono molti. Senza un percorso credibile e pragmatico verso un’autonomia palestinese “evolutiva”, ogni riconoscimento resterà simbolico, ogni tregua precaria, ogni impegno inefficace.
Chiacchiere, simbolismi imbecilli, discussioni sul nulla. A Ghaza le persone muoiono di FAME e di violenza perché gli Israeliani non fanno passare gli aiuti e sparano contro la gente in fila. Vorrei tanto che tutti questi tragici buffoni messianici sperimentassero anche loro quella dieta stretta
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Nel 1948, per le elezioni prossime venture, un sionista futuro presidente salì sul treno elettorale di Truman e gli allungò una valigia con 2 mln di dollari.
Capito come funziona il sistema?
Per chi volesse approfondire (quindi non certi cappelli bianchi con l’aria sotto):
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La fotografia dell’articolo è da ricordare, tra qualche anno farà il paio con quella di Hitler sotto la torre Eiffel
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Gli evangelici non vedono Israele solo come alleato politico, ma come attore teologico, parte di un disegno divino in cui la restituzione della Terra Promessa agli ebrei è condizione per la seconda venuta di Cristo.
Bravi iDIOti evangelici.
Agli ebrei non gliene frega un c…. di G. Cristo!
Lo considerano una sorta di scismatico o eretico rispetto alla loro tradizione religiosa.
Gli unici con cui i cristiani dovrebbero allearsi sono proprio gli islamici che di G.C. e di sua madre hanno grande rispetto e venerazione considerandolo un profeta secondo solo a Maometto.
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La religione è solo una scusa ,loro vogliono da sempre rubare la terra Palistinese ,e non si fermeranno mai fino a che non la otterranno, il 7 ottobre lo hanno provocato e aiutato per avere una giustificazione ,anche degli ostaggi se ne fottano altamente, muoiono di fame ,certo :esattamente come tutti, sporchi ipocriti
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