Trump, Usa derubati per decenni da amici e nemici

(ANSA) – Donald Trump insiste su Truth sulla tesi che il mondo si e’ approfittato degli Usa per troppo tempo. “Gli Stati Uniti d’America – scrive – sono stati derubati nel commercio (e nell’esercito!), da amici e nemici, allo stesso modo, per decenni. Questo è costato migliaia di migliaia di dollari, e la situazione non è più sostenibile – e non lo è mai stata! I paesi dovrebbero fermarsi e dire: ‘Grazie per i tanti anni di libertà, ma sappiamo che ora voi dovete fare ciò che è giusto per l’America’. Dovremmo rispondere dicendo: ‘Grazie per aver compreso la situazione in cui ci troviamo. Molto apprezzato!”.
UE, ‘DAZI COLPISCONO 70% EXPORT MA POTREBBE PASSARE AL 97%
(ANSA) – “I dazi colpiscono il 70% delle esportazioni dell’Ue verso gli Stati Uniti, pari a 380 miliardi di euro. L’amministrazione Usa sta però conducendo delle indagini, in particolare in relazione alla Sezione 232 del Trade Expansion Act del 1962, che riguarda prodotti dell’aviazione, farmaceutici, minerali critici, legname, rame e altri beni.
Se l’amministrazione Trump decidesse di imporre dazi anche su questi prodotti, la quota delle esportazioni colpite salirebbe al 97%.” Lo ha dichiarato Leopoldo Rubinacci, vicedirettore della Direzione Generale per il Commercio della Commissione Ue, intervenendo alla commissione Commercio de Pe.
Ue, ‘restare calmi, due settimane per trattare sono molte’
(ANSA) – “La priorità ora è restare calmi, uniti e lavorare nell’interesse dell’Unione Europea. Ovviamente dobbiamo essere pronti a qualsiasi eventualità, ed è per questo che dobbiamo proseguire i lavori sulle contromisure.
Tuttavia, è importante sottolineare che ogni eventuale misura di ritorsione deve essere uno strumento finalizzato a un obiettivo preciso, e non un fine a sé stessa. Non possiamo dimenticare che i dazi imposti dagli Stati Uniti rappresentano un onere per l’economia”.
Lo ha dichiarato Leopoldo Rubinacci, vicedirettore della Direzione Generale per il Commercio della Commissione europea, intervenendo presso la commissione Commercio dell’Eurocamera. “Abbiamo pianificato delle contromisure e, quando sarà il momento di agire, la Commissione sarà pronta. Siamo aperti anche a valutare misure che vadano oltre le sole merci.
Nel frattempo proseguono i contatti con l’amministrazione americana. Finora abbiamo compiuto significativi progressi nel negoziato, e ci resta ancora un po’ di tempo: due settimane, che, vista la situazione attuale con gli Stati Uniti, rappresentano un periodo significativo”, ha concluso Rubinacci
VON DER LEYEN: «FERMI TUTTI». TRUMP CI ATTACCA MA LEI RINVIA I CONTRODAZI
(di Francesca De Benedetti – editorialedomani.it) – La presidente della Commissione Ue ufficializza la nuova sospensione delle contromisure. La linea è di Berlino, in sintonia con l’«amica» romana di Trump.
Qualsiasi contromossa europea ai dazi trumpiani è di fatto congelata, formalmente fino al 1 agosto. Questo piano era già stato ricostruito, ma adesso è la stessa Ursula von der Leyen a ufficializzarlo: la Commissione europea non ha alcuna intenzione di reagire all’attacco via lettera di Donald Trump, che sabato ha annunciato dazi al trenta per cento da agosto, e anzi ha intenzione di seppellire ancor più a fondo i timidi tentativi di risposta europea già in calendario.
L’Unione europea si fa dettare da Washington il calendario – prima era il 9 luglio, adesso è il 1 agosto – e persevera nell’invocare negoziati, dichiarando il «fermi tutti» agli europei; ciò mentre gli Stati Uniti li sbatacchiano già da mesi e mesi coi dazi.
Fermi tutti
Sono almeno due le possibili leve che Bruxelles potrebbe azionare, e altrettanto due sono gli obiettivi per i quali azionarle.
Tra le leve si annoverano le contromisure, ovvero i controdazi, e quello che sin da sùbito è stato definito come il bazooka in mano all’Ue, ovvero lo strumento anti coercizione. Gli obiettivi possono essere o quello conclamato di reagire agli abusi di Trump (i suoi dazi sono anche tecnicamente abusivi, poiché illegali nel quadro dell’Organizzazione mondiale del commercio), oppure quello di indirizzare i negoziati stessi: anche se l’obiettivo finale rimanesse quello di un accordo, ciò non escluderebbe l’utilizzo di leve, ma semmai il contrario.
Ursula von der Leyen si dice persuasa che un accordo sia ancora possibile, il che significa interpretare la lettera di Trump nel quadro di un negoziato, non fuori: dunque perché l’Ue non potrebbe a sua volta usare leve negoziali?
Veniamo alle decisioni assunte. Prima ancora del Liberation Day di aprile, con il quale Trump ha sottoposto l’Ue a dazi generalizzati al 10 per cento, Washington aveva già colpito gli europei con tasse su alluminio, acciaio e derivati, auto. E Bruxelles aveva predisposto una lista di contromisure, ridotta (21 miliardi) e annacquata (niente whisky e altro), proprio come risposta a quelle prime tasse, che sussistono tuttora: attualmente su acciaio e alluminio paghiamo il 50 per cento.
La lista, in lavorazione da tempo dato che Trump ha lanciato dazi contro l’Ue già a febbraio, era stata siglata soltanto dopo il cosiddetto Liberation Day (giorno dei dazi globali trumpiani, il 2 aprile), per poi essere congelata a seguire. Dunque già ad aprile si era visto lo schema che von der Leyen sta replicando ora: lascia che Trump annunci un ulteriore aggravio, corredato di minacce per chi osasse reagire, dopodiché dispone lo stop delle contromisure.
In questo caso lo schema è simile, ma più smaccato: la sospensione disposta in primavera scadrebbe questo lunedì a mezzanotte. Ma venerdì, cioè già prima della lettera di Trump sui dazi al 30, il portavoce al Commercio della Commissione – come segnalato già all’epoca da Domani – aveva segnalato la disponibilità a prorogare lo stop alle misure. Il giorno dopo, ovvero nel sabato della lettera, la presidente della Commissione aveva utilizzato come pro forma il riferimento a eventuali contromisure, ma sottintendendo il piano di non utilizzarne almeno finché il tavolo negoziale con Trump le risulta aperto.
Questa domenica la proroga del congelamento delle contromisure è stata ufficializzata esplicitamente anche nelle parole della presidente, che ai cronisti ha risposto così: «Gli Stati Uniti ci hanno spedito una lettera con misure che entrerebbero in vigore a meno che ci sia una soluzione negoziale». Questa non è una dichiarazione di Trump ma una interpretazione della presidente: l’accordo di principio Usa-Uk, per esempio, recepisce semplicemente i dazi già attivi (in quel caso il dieci per cento), aprendo a specifiche deroghe settoriali.
L’idea che un accordo porti Trump a fare retromarcia sui livelli da lui annunciati nel weekend è solo una speranza, al momento. Con questo presupposto roseo, Von der Leyen continua dicendo che «perciò estenderemo la sospensione delle contromisure fino a inizio agosto» (il 30 per cento della lettera di Trump diventa effettivo il primo del mese).
Strumenti arrugginiti
Anche lo strumento anti coercizione – una leva della quale l’Ue è dotata, avendo un quadro regolamentare volto proprio a proteggerla dagli abusi, attraverso strumenti come restrizioni all’accesso al mercato comune per il paese terzo offensore – resta nel congelatore: da bazooka che era, von der Leyen l’ha trasformato ormai in vecchio arnese arrugginito in cantina.
L’apice della strategia remissiva brussellese coincide anche con il momento di massima evidenza del suo fallimento. Von der Leyen come al solito ascolta soprattutto Berlino, che predilige quella stessa strategia, proprio come Meloni, che si è affrettata a dire di non reagire ai dazi trumpiani, sin dall’inizio, e anche dopo la lettera. «Il governo è in contatto con la Commissione, una guerra interna all’occidente ci renderebbe più deboli», ha ribadito palazzo Chigi con una nota questa domenica.
Emmanuel Macron, come Pedro Sánchez, invita a dare almeno un’apparenza di reattività, ma la presidente ascolta anzitutto la voce di Friedrich Merz. Che ieri ha rivendicato il suo ruolo di regista dietro le quinte: «Ho avuto colloqui intensi con Macron, von der Leyen e venerdì (quindi poco prima della lettera, ndr) con Trump. Vogliamo usare le prossime due settimane e mezzo per risolvere la situazione». Disarmati, tuttavia.
In Europa siamo tranquilli… da una parte c’è la Meloni e dall’altra parte la Von Der… qualcosa. Possiamo dormire fra una dozzina di guanciali.
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ATOMICHE
Il 15 luglio 2025 si stima che ci siano circa 12.331 testate nucleari nel mondo, detenute da nove paesi, secondo la Federation of American Scientists (FAS). Russia e Stati Uniti detengono quasi l’88% del totale.
Paesi con armi nucleari:
Russia, Stati Uniti, Cina, Francia, Regno Unito, India, Pakistan, Israele e Corea del Nord (anche se non tutti hanno reso pubbliche le loro scorte.
Russia e Stati Uniti detengono la maggior parte delle testate nucleari, L’88%.
L’Unione Europea non possiede un arsenale nucleare unitario. Le armi nucleari in Europa sono detenute esclusivamente dalla Francia e dal Regno Unito. La Francia ha un arsenale nucleare autonomo, mentre il Regno Unito ha anche il suo deterrente nucleare, sebbene partecipi alla condivisione nucleare della NATO con gli Stati Uniti.
La Francia possiede 290 testate atomiche, la Gran Bretagna 225.
La Germania non possiede bombe atomiche di sua proprietà. Tuttavia, ospita sul suo territorio, nella base aerea di Büchel, circa 15 bombe nucleari statunitensi B61, che fanno parte della dottrina della condivisione nucleare della NATO. Queste bombe sono sotto il controllo degli Stati Uniti e non della Germania.
La Svizzera non possiede bombe nucleari. La Svizzera è uno stato neutrale e non ha sviluppato né acquisito armi nucleari. Inoltre, partecipa attivamente a iniziative internazionali per il disarmo nucleare. Ha rinunciato alla produzione e al possesso di armi nucleari fin dal 1977, quando ha firmato il Trattato di non proliferazione nucleare (TNP). L’adesione al TNP implica l’impegno a non acquisire, fabbricare, ricevere, controllare o sperimentare armi nucleari. Inoltre, la Svizzera partecipa attivamente a organizzazioni internazionali per la non proliferazione nucleare e il disarmo, come l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA) sottolineato nel testo Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA).
La Svizzera, pur essendo un paese con una forte tradizione di neutralità e un solido sistema di difesa, ha scelto di non dotarsi di armi nucleari, concentrandosi piuttosto su una politica di pace e cooperazione internazionale.
La Svizzera partecipa attivamente a tutti i forum multilaterali sul disarmo nucleare. Persegue una politica estera attiva ed è spesso coinvolto in processi di costruzione della pace in tutto il mondo.
Non si conosce con certezza il numero di bombe atomiche che Israele possiede. Israele non ha mai confermato ufficialmente di avere armi nucleari, ma è generalmente accettato che ne abbia un arsenale. Le stime variano, ma si pensa che ne possieda tra le 80 e le 400 testate nucleari, secondo diverse fonti. Tuttavia, queste sono solo stime, e il numero esatto rimane un segreto di stato.
L’Italia non produce né possiede armi nucleari, ma partecipa al programma di “condivisione nucleare” della NATO.
In Italia, le armi nucleari tattiche statunitensi sono dispiegate presso le basi aeree di Aviano e Ghedi, all’interno del programma di condivisione nucleare della NATO.
Gli Stati Uniti possiedono un arsenale nucleare stimato tra le 5.044 e le 5.550 testate nucleari. Di queste, circa 1.770 sono schierate e pronte all’uso, mentre il resto è in riserva.
Il numero esatto di bombe atomiche che la Russia possiede nel 2025 non è reso pubblico, ma si stima che ne abbia circa 3.350, secondo le proiezioni di un articolo. Tuttavia, questo numero include sia testate operative che quelle in deposito. La Russia e gli Stati Uniti detengono insieme quasi l’88% delle armi nucleari mondiali, secondo l’Archivio Disarmo.
Non potevamo essere anche noi neutrali, a democrazia diretta e con moneta propria come la Svizzera?
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