Salari bassi, l’Italia ultima fra i Paesi industrializzati: “Servono nuovi lavoratori”. Nel report dell’Ocse bocciatura anche per la scarsa occupazione di giovani e donne

(di Rosaria Amato – repubblica.it) – ROMA – Salari bassi, popolazione sempre più anziana, forti squilibri a svantaggio di giovani e donne: il mercato del lavoro in Italia è in condizioni decisamente critiche rispetto alle principali economie dell’Ocse. Il confronto è stridente soprattutto se si confrontano le retribuzioni: dall’Outlook 2025 emerge che, nonostante gli aumenti più recenti, i salari reali in Italia nel primo trimestre di quest’anno erano più bassi del 7,5% rispetto allo stesso periodo 2021, la performance peggiore tra i Paesi maggiormente sviluppati dell’Ocse, i cui andamenti vanno invece dall’aumento del 2,9% della Corea del Sud al calo del 4,4% dell’Australia. E non ci sono prospettive di miglioramento nei prossimi due anni: se infatti i salari nominali dovrebbero crescere del 2,6% quest’anno e del 2,2% nel 2026 (molto meno che negli altri Paesi Ocse) l’inflazione (che la stragrande maggioranza dei lavoratori italiani ha riassorbito solo in minima parte) assorbirà quasi del tutto questi aumenti esangui.

Il report dell’Ocse smorza gli entusiasmi anche sull’aumento dell’occupazione: consistente, certo, il tasso di disoccupazione a maggio era al 6,5%, 3,1 punti percentuali più basso rispetto all’inizio della pandemia, ma pur sempre ben più alto della media Ocse, che si attesta al 4,9%. Un aumento concentrato soprattutto tra i lavoratori più anziani, che godono di entrate ben più alte di quelle dei più giovani. Se infatti nel 1995 gli stipendi dei giovani superavano dell’1% quelli dei più anziani, adesso la situazione si è ampiamente ribaltata, con i più anziani che guadagnano in media il 13,8% in più.

Nel complesso, il tasso di occupazione in Italia continua a rimanere molto al di sotto della media Ocse, al 62,9% rispetto al 70,1%. Uno svantaggio che potrebbe tradursi in un punto di forza se si colmasse finalmente il divario occupazionale tra uomini e donne: eliminare almeno i due terzi del gender gap e allungare la vita lavorativa, oltre che favorire l’arrivo e l’impiego di immigrati, permetterebbe all’economia italiana di non crollare sotto il peso del crescente invecchiamento della popolazione.

Le previsioni fanno paura: entro il 2060 la popolazione in età lavorativa in Italia si ridurrà del 34%. Se nel 2023 c’era un anziano a riposo per ogni 2,4 persone in età da lavoro, nel 2060 il rapporto sarà di uno per 1,3 lavoratori. A meno che non migliori la produttività, tra le più basse tra i Paesi Ocse, diventeremo molto più poveri: il Pil pro capite si ridurrà ogni anno dello 0,67%.

Cosa fare? Oltre al deciso impulso da dare alla produttività, e una maggiore inclusività, l’Ocse suggerisce più che una riforma previdenziale un cambio radicale del concetto stesso di pensione, che dovrebbe accompagnarsi a una “occupabilità” estesa per la maggior parte della vita. Dopotutto, ragionano gli economisti autori dell’indagine, «in Italia solo il 9,9% della forza lavoro tra i 50 e i 69 anni continua a lavorare anche dopo aver ricevuto la pensione», mentre la media degli altri 24 Paesi Ocse in Europa è del 22,4%. E questo significa promuovere l’aggiornamento professionale a tutte le età: una scelta inevitabile anche per «alleggerire il peso delle giovani generazioni».