(Giancarlo Selmi) – Ho visto, dopo qualche giorno, l’intervento di Giuseppe Conte da Porro. Il solito teatrino con un Sallusti sempre più incerto e indecentemente allineato, tanto che sarebbe veramente necessaria un’indagine antropologica sul “giornalismo” italiano, se così si possa ancora definire e un aggressivo Porro. Più impegnato, in verità, a sostenere il suo governo del cuore e il fragile Sallusti, che non a fare il suo lavoro.

Lavoro che dovrebbe avere al centro la narrazione della verità, ma che scade malinconicamente nella più autentica, becera e intellettualmente modesta propaganda. Un Conte sempre più sicuro, un gigante, di fronte a nanetti, costretti a ripetere, in modo esasperato ed esasperante, gli slogan che il tentativo di costituzione di pensiero unico continua a riproporre.

Chiunque, dotato di tre centimetri di fronte e un cervello adeguato, si accorgerebbe della totale mancanza di argomenti dei malcapitati che si trovano ad affrontare il nostro presidente Conte. Tanto che pare che il dibattito sia fra la ragione, i dati, i numeri e la più pura e semplice superstizione. Abbiamo inventato, in Italia, il sincretismo meloniano. Una sorta di voodoo di nuova generazione che tende a uccidere il dissenso e la ragionevolezza con gli spilloni della propaganda.

Inutile parlare dei numeri, delle promesse mancate, della inversione a “u” rispetto a ciò che si dichiarava prima, sul quale Meloni e camerati hanno vinto le elezioni, nessuno li prende in considerazione. Inutile parlare degli indici economici, tutti drammaticamente negativi. Ciò che vediamo è il trionfo di una vera e propria dogmatica fede. Aiutata da una serie di lingue grondanti saliva e pericolosamente vicine al deretano della premier.