(di Michele Serra – repubblica.it) – Forse, dopo il Pride di Budapest, sarà più chiaro a tutti che i diritti della persona sono cosa di primissimo rilievo politico. Non un “falso obiettivo” per una sinistra disorientata e ripiegata su se stessa, non uno sfizio, e quasi un vizio, da occidentali annoiati, non uno spreco di energie distolte dalle questioni sociali e salariali.

No: qualcosa che riguarda l’essenza stessa della democrazia, in grado di costringere un intero continente, classe politica e opinione pubblica, a riflettere su se stesso, con l’odio fascista che si mette (inutilmente) di traverso e il truce governo ungherese isolato e costretto alle corde assieme al cospicuo novero dei suoi alleati europei, governo italiano in primo luogo.

Il Pride (con il suo ampio corollario di movimenti e di attivisti) è un fiume gonfio di libertà, il folklore da un lato, l’eccesso di pedanteria ideologica dall’altro, non levano peso a una materia per nulla fumosa, fatta di persone in carne e ossa e di vite quotidiane (non si dice sempre che la politica deve occuparsi della vita quotidiana delle persone?).

Orbán lo sa benissimo, che la sostanza di quel movimento è una visione plurale e liberale della società, e per questo, in sintonia con il suo faro politico Putin, non lo sopporta: fino a vietarlo. Ieri (sabato 28 giugno) ha perso clamorosamente una battaglia importante, e ancora non si sa chi vincerà la guerra. Ma di qui in poi il vecchio argomento “si parla troppo di diritti, poco di politica vera” ha perso ragione d’essere.