Limiti, cause e «chiusure»: dove nasce la situazione italiana. Ma il nostro Paese ha bisogno di un gruppo dirigente, oltre che competente, ispirato ad una vera cultura dell’imparzialità

(di Ernesto Galli della Loggia – corriere.it) – «La destra ha un problema: non ha una classe dirigente»: da anni capita di ascoltare assai spesso queste parole, perlopiù dette con un tono d’implicita rampogna. È tutto sommato vero. La destra manca di una classe dirigente (o perlomeno ne dispone in misura assai minore rispetto alla sinistra). Manca di una classe dirigente specialmente se s’intende con questa espressione da un lato l’insieme dell’alta dirigenza dello Stato, delle magistrature e della sfera pubblica e parapubblica, e dall’altro la capacità di presenza sulla scena mediatica, culturale e accademica del Paese, tra le voci più significative o ascoltate della società civile. C’è da chiedersi però se una tale situazione più che un deficit della destra, di certo esistente, non sia soprattutto la spia di qualcosa d ’altro. E cioè innanzi tutto del fatto che in realtà in Italia una vera classe dirigente non esiste. Infatti, in un Paese che ancora oggi stenta ad avere valori comuni e una larga memoria condivisa, nel quale non è affatto scontata l’idea che esistono «interessi nazionali», cioè riguardanti tutti (la stessa parola nazione fa arricciare il naso a tanti), in un Paese come il nostro dove l’appartenenza politico-ideologica è ancora così rilevante per definire l’identità individuale, e nel quale la politica ha ancora e sempre un potere così vasto nel disporre di risorse, di impieghi e di carriere, in un simile Paese la possibilità che vi sia una vera classe dirigente è davvero assai scarsa.
Questa, infatti, può esistere solo se una società si riconosce in un forte insieme di valori comuni superiori alle personali inclinazioni politiche e se a sua volta la politica partitica pone un limite alla propria naturale invadenza, se accetta di tenersi a una certa distanza da alcuni ambiti e soprattutto, direi, se essa si mostra in grado di apprezzare il valore della competenza e della capacità, cioè il criterio del merito anziché quello dell’appartenenza e del voto.
Non è certo questa, però, la condizione dell’Italia. In ben 80 anni — un periodo di tempo all’incirca eguale a quello intercorso tra la nascita dello Stato nazionale e la fine della Seconda guerra mondiale! — la Repubblica democratica, infatti, non è riuscita a sciogliere i nodi storici che la videro nascere. Il nostro resta «un passato che non passa», pronto in ogni momento a dividerci frontalmente, così come sono ancora assai forti tra noi culture politiche che considerano gli interessi nazionali una sorta di truffa per gonzi; e infine, su questa scena dominata dalle fratture, la politica — proprio come in quel lontano dopoguerra in cui la Repubblica nacque — domina ancora largamente su tutto: condiziona, indirizza, decide, quasi sempre imponendo ancora il criterio della parte, della propria parte, su qualsiasi altro.
La conseguenza di tutto ciò non è stata un’assenza di classe dirigente, bensì la formazione di una sua specie particolare. E cioè di una classe dirigente — assolutamente prevalente specie nell’ambito dello Stato, dei ministeri, delle loro innumerevoli articolazioni, così come negli ambienti giornalistici, culturali e in mille altri enti e istituzioni — la quale è venuta modellandosi per intero sugli indirizzi della politica. E siccome dagli anni Settanta del secolo scorso in avanti la politica italiana si è in grande maggioranza riconosciuta nel cosiddetto «arco costituzionale»(quindi con un’esplicita esclusione della destra), anche la classe dirigente italiana si è modellata sulla sua ideologia. Venendosi così a configurare una vera e propria nuova conventio ad excludendum di fatto.
Per rendere le cose più chiare: si può far parte della classe dirigente italiana nel senso che ho fin qui detto e insieme sostenere pubblicamente che la nostra Costituzione non solo non è particolarmente originale ma prescrive numerose regole rivelatesi sbagliate che andrebbero modificate? Si può ambire ad un alto incarico diplomatico e insieme pensare e scrivere che il manifesto di Ventotene, se lo si legge per ciò che vi è realmente detto, difficilmente si rivela di una qualunque utilità per l’europeismo odierno? Si può aspirare a dirigere un dipartimento ministeriale importante, o magari Rai cultura o il Salone del Libro, o una qualche manifestazione analoga, se uno o una ha dichiarato, ad esempio, che per quanto riguarda il fenomeno migratorio è inimmaginabile una politica di accoglienza generalizzata a tutti?
Lascio la risposta alla buona fede dei lettori e a coloro che di queste cose hanno magari un’esperienza diretta e ne sanno più di me. Quel che io so è che fintanto che le domande sopra dette non appariranno come stravaganti — come oggi invece non appaiono —, fino ad allora ben difficilmente l’Italia potrà dire di avere un’autentica classe dirigente, vale a dire oltre che competente ispirata ad una vera cultura dell’imparzialità perché lei stessa espressione di tutte le parti. E fino ad allora l’atmosfera del Paese non riuscirà mai a liberarsi da un’invincibile, capillare, partigianeria.
Se dunque è vero che la destra non dispone di un’adeguata classe dirigente le cause certamente non vanno cercate solo in casa sua.
Articolo surreale
La verità è semplice: in Italia non esiste una classe dirigente. Punto.
La politica non seleziona il merito, ma la fedeltà. I leader non costruiscono squadre competenti, ma corti di fedeli. I partiti sono macchine elettorali personalistiche quando non addirittura comitati d’affari.
L’economia non è da meno: vertici aziendali ereditari, nomine politiche, gestione parassitaria; una politica economica basata sui sussidi Un capitalismo di relazione, non di competizione, innovazione o responsabilità.
L’università? Stessa storia: non valorizza il talento, ma la fedelta’ accademica. Come i partiti: tutti allineati, coperti e obbedienti.
L’intellighenzia italiana è autoreferenziale in patria e irrilevante all’estero. Produciamo figure “autorevoli” solo per costruire narrazioni di comodo.
Il solo pensare che l’esponente di punta sia Draghi dovrebbe far venire i brividi a chiunque abbia un minimo di facolta’ intellettiva.
In questo Paese manca non solo la classe dirigente, ma un sistema capace di selezionarla. Peggio: ogni volta che si tenta, il sistema stesso la rigetta come un corpo estraneo.
Niente visione, nessuna guida, zero responsabilità. Si vive alla giornata, si improvvisa, mentre ogni gruppo di interesse cerca di sottrarre risorse, via via piu’ scarese, ad un altro. È lo stadio terminale di un declino da vassalli cronici; kornuti e mazziati.
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“Il solo pensare che l’esponente di punta sia Draghi dovrebbe far venire i brividi a chiunque abbia un minimo di facolta’ intellettiva.”
Concordo.
Poi mi vien da pensare:
Quando il paragone è tra Putin, Netanyahu, Merz, V.D. Leyen, Macron, Trump, Zelensky e compagnia bella anche Draghi ce la fa.
Siamo messi molto male.
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