
(Raffaele Pengue) – C’è un’Italia che si svuota e un’altra che assiste in silenzio. Ma tra rassegnazione e resistenza, un paese del Sannio prova a reinventarsi, chiedendo alla politica di non spegnere la luce.
Nel cuore dell’entroterra campano, in una terra che profuma di storia e vino, Guardia Sanframondi sembra seguire lo spartito già scritto per tanti paesi italiani: spopolamento, invecchiamento, marginalizzazione. Una parabola comune, ma ora sancita da un documento ufficiale. Il Piano Strategico Nazionale per le Aree Interne non promette più salvezza, ma “accompagnamento al declino”. È la prima volta che un testo istituzionale rinuncia esplicitamente alla rigenerazione. Le parole pesano: si parla non più di rilancio, ma di fine dignitosa.
Eppure, la dignità non sta nell’arrendersi, ma nel resistere.
Nel 1951 Guardia contava 6.982 abitanti. Oggi sono poco più di 4.500. I bambini sotto i 15 anni sono meno del 10% della popolazione. La scuola ha perso l’autonomia, i medici scarseggiano, l’età media cresce, i giovani partono.
Eppure Guardia non muore. Non ancora.
C’è chi resta. Chi torna. Chi semina, chi cura, chi inventa nuovi modi per vivere l’antico. Senza riflettori, senza hashtag. Giovani che coltivano con metodi agroecologici. Famiglie che trasformano case sfitte in progetti ricettivi. Volontari che organizzano eventi con risorse minime. È una resistenza silenziosa, ma viva. È una comunità che ha smesso di credere nelle promesse e ha cominciato a fare.
Tuttavia, la narrazione istituzionale, comunale, la politica locale, insomma, ancora trasforma questo luogo in museo del vuoto, pronti ad accogliere “migliaia” di turisti in cerca dell’“autenticità perduta”. Si restaura qualche casa diroccata del centro antico, ma non per viverci: per mostrarla. Si investe nel passato, mentre il presente si disgrega. Ma chi abita ancora questo territorio non vuole essere parte di un paesaggio pittoresco. Vuole servizi, piccole cose, l’acqua pubblica, servizi, sanità opportunità, strade accessibili. Vuole poter crescere un figlio senza doverlo spedire altrove. Vuole una politica che non cerchi voti, ma visioni di lungo periodo. Non solo folklore. Ma politica vera. Investimento. Futuro. Per questo occorre rifiutare il lessico della fine. I paesi come Guardia non chiedono commiserazione. Chiedono alle istituzioni di non voltarsi dall’altra parte proprio ora. Di non considerare i territori interni del Mezzogiorno d’Italia come Guardia “sacrificabili”. Di non ridurre tutto a bilanci e costi-benefici. Perché il vero fallimento non è lo spopolamento, ma l’abbandono deciso dall’alto mentre dal basso si costruisce speranza.
Nel nuovo Piano Strategico Nazionale per le Aree Interne, il Governo ha fatto ciò che molti temevano ma pochi osavano dire ad alta voce: per molti comuni del Mezzogiorno interno “non c’è ritorno”. Si parla apertamente di spopolamento irreversibile, di accompagnamento al declino. Una scelta lessicale e politica che segna una frattura radicale: si passa dalla rigenerazione alla rassegnazione. È l’ammissione ufficiale della rinuncia. Non si rilancia, si chiude.
Noi invece scegliamo di restare. Non per nostalgia, ma per responsabilità. Non per illuderci, ma per costruire. Non per conservare un passato, ma per abitare un presente. E dargli futuro. Perché, nonostante la politica, Guardia Sanframondi non merita di essere trasformata in una necropoli romantica, ma in un luogo di futuro.