Obiettivi mancati: una vera Unione e un vero trattato di pace con Mosca post-Guerra fredda

Dall’89 l’Europa naviga a vista: oggi è una Babele senza progetto

(Massimo Cacciari – lastampa.it) – Cresce il disordine globale – e per il presidente Mao potrebbe anche essere un buon segno. Le leggi della termodinamica mostrano come a un certo punto l’ordine venga per forza ristabilito. In politica tuttavia questo non può essere l’esito di processi naturali. Umana o magari artificiale sarà sempre l’intelligenza a promuoverlo. E proprio questa dote sembra oggi mancare in quell’Occidente prima europeo e da un secolo americano che senza dubbio ha esercitato una egemonia nel determinare gli equilibri internazionali, egemonia non solo militare né solo economico-finanziaria, ma, prima ancora, scientifica e tecnologica.

Mai quanto oggi di fronte all’evidente crisi della Auctoritas, se non della potenza, dell’impero americano, crisi direi fisiologicamente rappresentata dalla volgare arroganza del suo presidente, sarebbe necessaria una voce europea, la voce di una cultura europea che sapesse discernere criticamente e poi raccogliere in sé quelle idee, vive nella storia della nostra civiltà, in grado di costruire un tavolo di trattative e di pace per i tremendi conflitti in atto. Diritto internazionale, diritti umani, giustizia sociale – dove siete finiti principi del costituzionalismo europeo successivo alla seconda Grande Guerra? Dov’è l’Europa che, dopo il collasso miracolosamente pacifico dell’Unione Sovietica, avrebbe dovuto – e alcuni suoi leader avevano espresso con chiarezza una tale missione – invocare un vero Trattato di Pace? Dov’è l’Europa che, cosciente del significato delle proprie stesse disfatte, doveva opporsi a ogni strategia di sistemazione “monarchica” degli equilibri globali?

L’Europa si è arresa alla voce, non sua, delle scuole neo-liberiste, della dottrina «la società non esiste», «il pubblico è solo inefficienza», «l’uomo non è un animale che vive nella polis, ma nel mercato». E così navigando a vista nella nebbia ha assistito alla guerra civile nell’ex-Jugoslavia, ai preparativi e allo sviluppo di quella in Ucraina, applica il principio di auto-determinazione dei popoli a seconda del vento, si limita a deplorare i massacri a Gaza, discettando su come chiamarli. E la sua possibile voce comune si è frantumata in una indigeribile babele di dialetti locali.

Ecco il dialetto delle “grandi” scuole burocratico-amministrative. Centraliste nell’essenza, contrarie a ogni principio di sussidiarietà. Le migliori alleate delle potenze che sono oggi in grado di controllare e manipolare la nostra stessa fantasia. È il linguaggio della tecnocrazia imperante a Bruxelles e di cui Macron potrebbe rappresentare il simbolo. Ciò che non rientra nei suoi algoritmi è rumore di fondo. Ma opposto a questo è il dialetto di altri attori nell’Unione. Eppure dovrebbe trattarsi di alleati. Come fare se sono alleati che parlano lingue incompatibili? Chi sarà mai in grado di tradurre a Macron l’idioma di Meloni? Una formazione anni luce lontana, una storia politica opposta, un’ascesa tutta segnata dalla lotta all’Europa dei Macron in nome di sovranismi, quando andava bene, e di invocazioni reazionarie ai bei tempi perduti, quando si trattava di pescar voti. Meloni è stata intelligente e abile a riciclarsi, ma per farlo aveva assoluto bisogno dell’appoggio di un vero leader globale e l’ha trovato in Trump. Ora il Trump dei dazi e di «fuck Europe» le sottrae ogni possibilità di emergere come capo europeo.

La possibilità, d’altra parte, che il federatore dell’Unione fosse la Germania è venuta meno con la fine di Merkel e la vittoria nella Cdu di colui che ne era stato di fatto il primo avversario. L’insieme delle forze cristiano-democratiche e del Centro europeo, asse fino a ieri dell’Unione, è oggi un grumo di posizioni e di interessi, il cui collante sembra essere soltanto quello della guerra in Ucraina e del riarmo che essa renderebbe necessario. Tranquilli, nulla di eroico, si tratta di un riarmo per giustificare aumenti del debito extra patti vari di stabilità e salvataggio di piattaforme manifatturiere tedesche – nessuna economia di guerra, per carità. Ma se i “Volenterosi” continueranno a parlare di guerra senza proporre un concreto tavolo di trattativa e compromesso – lasciandolo fare magari, senza provar vergogna, all’alleato Erdogan – ciò può risultare ugualmente, alla lunga, assai pericoloso.

Alla Babele hanno certo potentemente contribuito le “nuove entrate” dell’Unione. Un processo avvenuto sotto il diktat di esigenze militari e interessi economici, ignorando condizioni storiche, culturali, sociali. Si tratta di Paesi in cui era del tutto inevitabile l’affermarsi di maggioranze populistico-nazionaliste. Essi vivevano il momento dell’affermazione della propria identità nazionale, dopo decenni se non secoli di dominazione, diretta o indiretta, straniera. Era altresì inevitabile che essi avvertissero ancora la minaccia del loro vicino, della Grande Rus’, che in varie forme li aveva costretti dentro la propria cortina. Una politica di allargamento dell’Unione, all’altezza di un vero disegno culturale e strategico, doveva accompagnarsi a un vero Trattato con la Russia uscita a pezzi dall’89, un Trattato in grado di rassicurare i nuovi Stati, prima ancora i cittadini di questi Stati, che l’antica inimicizia poteva tramontare. Ora abbiamo nell’Europa che solennemente proclama di volersi politicamente unire Stati che contraddicono in tutti i loro atti il principio stesso dell’Unione: la disponibilità costituzionalmente sancita a ridurre la propria sovranità.

I dialetti della globalizzazione, del potere globale economico-finanziario, si dovrebbero così combinare con quelli opposti del nazionalismo, quelli di una destra reazionaria con le tecnocrazie per le quali ha valore soltanto ciò che ha prezzo e viene così valutato. Chi sarà in grado di tradurli in un idioma comune? Chi sarà in grado di superarne l’astratta separatezza? È questo il segno più evidente, anche se meno notato, della crisi che attraversiamo. Crediamo di costruire la stessa Torre, a un certo punto di accorgiamo di non intenderci più affatto, e la Torre crolla. Così finiscono le civiltà, non solo gli Imperi.