(Raffaele Pengue) – C’è una condizione che affligge i paesi (soprattutto del Mezzogiorno) in declino, una condizione che a Guardia Sanframondi è diventata quasi uno stato di fatto. È una condizione che non riguarda solo il corpo fisico del paese, ma la sua anima: la condizione dell’oblio. Un oblio che è diventato la misura del nostro sonno politico. Un sonno che ha trasformato il nostro paese in una sorta di dormitorio collettivo, dove la comunità non vive, ma è appoggiata, sospesa in attesa di qualcosa che non arriva mai.

Guardia, infatti, non è più una comunità che affronta le sue difficoltà, che si sveglia per affrontare i problemi. È una comunità che si è abbandonata al sonno, che ha chiuso gli occhi e ha deciso di non vedere più nulla, di non sentire più niente. Dove ogni angolo del paese sembra quasi voler dire: “Ho bisogno di riposare, lasciami in pace.”

I luoghi, il centro storico, le piazze sembrano ormai lenti respiri di una comunità che non ha più voglia di lottare. Le strade, non più animate da progetti – se si esclude qualche lodevole iniziativa da parte della folta comunità di ospiti stranieri -, sembrano abbandonate al loro destino. Un paese che aveva, un tempo, una storia, oggi è diventato un luogo dove si vivacchia, dove il “fare” è ridotto a qualcosa di marginale e insignificante. I luoghi simbolo della comunità sono diventati spazi grigi, incolti, dimenticati. Dormitori dell’indifferenza.

Le vie principali sono piene di buchi e buche, ma l’amministrazione non se ne fa carico. Le scuole, che un tempo erano il cuore pulsante della comunità, sono oggi solo luoghi in cui le promesse di rinnovamento sono evaporate. Il Municipio che dovrebbe essere il custode della nostra identità, è solo uno spazio fisico, vuoto e inutilizzato, come stanze di un ospedale che accoglie corpi senza vita, senza diagnosi, senza speranza.

Ma l’oblio di Guardia non è solo fisico. È, soprattutto, politico. La politica, come il corpo cittadino, è addormentata, priva di reazioni, congelata nel tempo. Le decisioni sono rinviate, i problemi non vengono mai affrontati con serietà. C’è sempre una scusa, una giustificazione, un pretesto per rimandare tutto. La realtà si sovrappone ai sogni di un paese che ha smesso di pensare a sé stesso. È la morte della visione politica, l’assenza di un progetto futuro. In questa situazione, non ci sono scelte da fare, solo rituali di sopravvivenza.

Il Consiglio Comunale, già ricordato come il luogo del silenzio, è il simbolo di questo sonno senza fine. Nessuna iniziativa, nessuna proposta significativa per affrontare i veri problemi che affliggono il paese. Le sedute sono come funerali senza il morto, una ripetizione di formalità che non hanno più valore. E mentre il paese dorme, la politica si spegne, per lasciare spazio a una triste consuetudine: l’attesa passiva. Passano i mesi, passano gli anni, ma nulla cambia. E la gente, che avrebbe diritto di chiedere risposte, si sente ormai impotente, chiusa nell’oblio di una comunità che non risponde più.

Ma c’è qualcosa di ancora più preoccupante. Quando un paese smette di lottare per sé stesso, diventa un dormitorio dell’indifferenza, non solo da parte delle istituzioni, ma anche da parte dei suoi abitanti. La gente non reclama più, non protesta, non si mobilita. Il paese non è più un soggetto, ma un oggetto di cui prendersi cura. E in questo scenario, la collettività sembra ridotta a spettatrice di sé stessa. Le strade, i palazzi, le piazze diventano spazi disabitati, dove nessuno si preoccupa di niente, dove nessuno sa più chi è responsabile di cosa. Guardia è il luogo dove tutti si aspettano che qualcun altro faccia qualcosa. Dove le scelte non vengono mai fatte, dove nessuno vuole mettersi in gioco, e dove chi avrebbe la responsabilità di farlo, si rifugia nell’oblio della propria indifferenza. La comunità si è trasformata in un deposito di sogni spezzati, dove l’incapacità di agire è stata accettata come un dato di fatto, come una normalità. Una normalità che, però, sta uccidendo lentamente ogni speranza di riscatto.

Se la comunità non si risveglia, se la politica rimane addormentata, se i cittadini non si rifiutano di accettare questa condizione di anestesia collettiva, allora Guardia Sanframondi rischia di diventare un oblio definitivo. Un paese che si estingue, non per mancanza di risorse o per un cataclisma esterno, ma perché ha deciso di dormire mentre il mondo attorno cambia. Un paese che non ha più futuro perché ha smesso di sperare in un domani migliore.

E allora, che cosa può svegliare Guardia? La consapevolezza. La consapevolezza che il paese non è un oggetto, ma un soggetto in grado di decidere del proprio destino. La consapevolezza che la responsabilità è di chi vive qui, di chi ha il dovere di scuotere questa apatia, di chi ha il diritto di reclamare, di chi non ha paura di svegliarsi e fare qualcosa. Svegliarsi prima che sia troppo tardi. E forse è ancora possibile. Forse c’è ancora tempo per scuotere questo paese dal suo torpore. Ma dipende solo da noi. Se Guardia avrà la forza di svegliarsi dal suo oblio, se troverà la volontà di affrontare i suoi problemi e di riscrivere il suo futuro, allora potrà riprendersi, lentamente, ma con forza. Se continuerà a dormire, se resterà avvolta in questo sonno eterno, non ci sarà nulla da fare. Sarà il funerale di un paese, di un sogno che non ha mai trovato la forza di essere realizzato.

Guardia ha bisogno di svegliarsi. Non possiamo più permetterci di essere spettatori del nostro stesso oblio.