Francesco è stato accusato di essere contro qualcosa che non esiste più. In realtà il suo vero nemico è stato il fallimento dell’azione messianica

Bergoglio e la fama da antioccidentale

(Domenico Quirico – lastampa.it) – Francesco, Papa della fatica, della pena e del dolore, era forse nemico dell’Occidente libero, ricco e consumista? Che strana questa ombra appiccicosa che Bergoglio si è portato dietro fin dall’inizio del suo pontificato in un mondo che va sprofondando in una girandola di parole finte e vuote. Di questo esser contro gli si è fatta da parte di molti una colpa: come se il compito della Chiesa non fosse proprio quello di essere contro, contrapposizione ostinata e permanente; e non inginocchiamento di fronte al mondo, avrebbe detto Maritain, forma mortale di cronolatria. La salvezza non è promessa agli “anawim”, ai poveri agli umili ai docili?

Ma la domanda è più radicale: dove è mai questo presunto, luminoso Occidente per poterlo detestare e contestare in nome del salpare verso un’altra, incorruttibile riva? Che sarebbe mai l’Occidente, chi lo incarna, chi si allinea in una fotografia di gruppo che sia insieme lamento e certezza, mormorio e speranza, presente e futuro, quotidianità e utopia, insomma Storia? Perché se non è questo si perde tempo a parlarne, politicamente e a maggior ragione teologicamente, quasi un’eresia.

L’Occidente che il Papa non avrebbe amato sarebbe dunque la sfilata di eccellenze che saranno in prima fila al suo funerale sabato in piazza San Pietro: Trump, Von der Leyen, Macron eccetera, i sarti che hanno confezionato e cuciono la più grande bancarotta politica e forse economica del millennio. È Occidente l’argentino Miley con la sua motosega e il suo presunto miracolo economico zeppo di affamati ? Sono l’Occidente Musk e gli altri padroni globali con l’intelligenza artificiale e i satelliti? L’Occidente è forse la Nato, l’Unione europea, e gli zelanti sostenitori dei nostri “valori” esaltati con tanta maggiore enfasi quanta è maggiore la loro quotidiana, laida mercificazione?

Il suo anti-Occidente consisteva forse nel presunto putinismo, peccato mortale di cui i più sgangherati propagandisti della guerra del Bene contro il Male (russo) hanno avuto la faccia tosta di accusarlo? Come se la sua deprecata constatazione (a cui non sono seguiti fatti!) dell’abbaiare della Nato alle frontiere della Russia non fosse una evidenza banale, alla portata di qualsiasi onesto osservatore della Storia recente.

Il Papa non poteva essere contro qualcosa che non esiste più. Semmai aveva di fronte ben altro nemico che questi lillipuziani pubblicani della globalizzazione, della civiltà della cosa: affrontare il fallimento dell’azione messianica, del continuo fallire nella Storia dell’azione di dio, il vuoto e il senso di assenza che rende questo tempo così duro, vitreo e terribile.

Se Papa Francesco non spregiava l’Occidente era forse un adepto del terzomondismo di marca sudamericana, eredità dell’avversione ai “gringos” e ai loro spicci interessi in un continente dove le differenze tra ricchi e poveri sono più brutali, visibili e flagranti? Il continente degli “igalados”, spregiativa parola colombiana che indica coloro che disperatamente e quasi sempre senza esito lottano contro la personale diseguaglianza.

Viene da chiedersi come avrebbe potuto esser altro dopo esser nato, cresciuto, diventato prete in una città, Buenos Aires, dove la povertà è una vita senza promesse, senza via d’uscita? Ma esiste ancora il terzomondismo quando l’India e il Brasile sono ormai i nuovi giganti economici e politici, e sono i golpisti saheliani che hanno cancellato l’eterno colonialismo della République e abolito il francese sostituendolo con le lingue africane?

Sembra strano che nessuno abbia accusato Francesco di esser stato semmai un Papa peronista (o più modernamente: populista) che ha perfezionato con il suo carisma globale l’antica abilità della chiesa cattolica a fare da crocerossina della Storia senza cambiarla, promettere ai poveri la ricompensa futura perché continuino a praticare l’arte di essere poveri con interminabile pazienza.

Eppure c’è qualcosa di vero in questo: chi sono gli umili, gli ultimi, i poveri a cui questo Papa ha metodicamente dedicato la sua parola? Popolo indifferenziato, senza classi, i poveri del medioevo ribattezzati periferie del mondo, definizione suggestiva ma in fondo vuota, al di la della vana solerzia e del vano pietismo sociale.

Queste periferie del mondo dal 2010 aggiungono rivolta a rivolta senza purtroppo mai riuscire a costruire una vera rivoluzione. Questo era il problema che Bergoglio non ha mai affrontato se non nei termini della “tenerezza di dio”. Ma basta la tenerezza per una Storia costretta ad arrendersi per l’ennesima volta ai terribili precipizi della distruzione? Non sono mancate le parole, il senso educato di una non dimenticanza, parole che si isolano in una sorta di vuoto.

Sono mancati gli atti che sono, alla fine, l’unica cosa che conta davvero: essere in Siria mentre gli uomini, e i cristiani!, erano minacciati e uccisi da altri uomini che, disumanizzati dal fanatismo, per uccidere si mettevano in volto la maschera di dio. Essere in Ucraina e in Russia, fisicamente, non con le parole della domenica, fisicamente vicino ai martiri delle trincee immolati dalla comune follia dei loro Capi.

Ecco: le tre sconfitte del Papa: la guerra, i migranti e la Cina, l’antico sogno missionario dei gesuiti come lui. La guerra, lo scandalo degli scandali, si eternizza, snocciola i suoi pietosi rosari, si impasta senza tregua di lacrime, abissali silenzi, disperate mutezze. I migranti sono una causa perduta. La Cina resta ostinato silenzio.