
(Giuseppe Di Maio) – Nell’Europa che usciva faticosamente dal mondo antico, affondata nel fango delle campagne e oppressa dai padroni della terra e delle città, sollevarsi dalla propria condizione era proibito, e proibito era sognarlo. Nel XVII secolo, quando gli abitanti della costa occidentale europea erano pronti, ma non erano pronti i governi a raccogliere la loro richiesta di progresso, nacque quello che ancora oggi dall’altra parte dell’oceano chiamano sogno americano. Il sogno consisteva nel raggiungere una migliore condizione materiale solo con le proprie forze, col proprio coraggio, e la precondizione fu la libertà di poterlo fare. In capo a tre o quattro secoli il sogno si è corrotto: è scaduto in ambizione privata, gretta, non ha più niente dell’ascesi laica che l’aveva generato. La letteratura s’è incaricata di criticarlo, come ad es. l’opera di A. Miller, “Morte di un commesso viaggiatore”. Altri sogni si sono innalzati a contestarlo, come quello di Martin Luther King, che vagheggiava una società dove progredissero bianchi e neri per costruire insieme un mondo migliore.
Non c’è lo spazio per discuterlo, ma le società sono state edificate per creare la disuguaglianza. Tuttavia, vi sono momenti della storia in cui un’intera popolazione si sente unita (spesso solo complice) nel perseguire un medesimo obiettivo. Sono momenti espansivi, creativi, definiti dal sociologo Alberoni, “Statu nascenti”, una febbre collettiva (anche un processo individuale) che porta strutture sociali o persone, a conseguire traguardi altrimenti impensabili. Ma il sogno americano ora è stremato: i cittadini dietro la statua della libertà stanno mangiando la foglia: il paese delle possibilità non esiste, non esiste la libertà, ognuno di loro dispera di arricchirsi, la mobilità sociale è una delle più basse dell’Ocse. Gli europei lo stanno capendo: l’Unione è un falso, gli stati nazionali continuano a farsi la guerra, i padroni dettano legge ad un organismo a cui manca una vera e propria Costituzione. Europei ed americani non vogliono più immolarsi per gli scopi dei padroni, gli uni e gli altri temono solo che un’invasione di stranieri possa rubare loro quello che hanno.
Chissà se c’è ancora un paese con un sogno nelle sue viscere, ma io ho il mio. Che questo mondo ingessato finisca, che finisca la paura. Sogno che la finanza smetta di provocare disordini per abbassare il prezzo delle materie prime; che i governi smettano di minacciare con i cannoni e col debito per rubare il lavoro di chi è più indifeso; che il mondo smetta di essere governato dalle banche, dai fondi monetari, dalle false unioni. Sogno la fine della guerra, di tutte le guerre, sogno un governo universale, una moneta unica, e un medesimo obiettivo. Pretendo un mondo che elegga a nemici la malattia, l’ingiustizia, e l’ignoranza, che disprezzi la menzogna ed esalti l’ingenuità, che cooperi come un solo organismo e porti alla luce quest’atomo opaco; che distrugga, cioè, la disuguaglianza e chi la sostiene.
Un sogno, appunto!
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Almeno i sogni ci saranno consentiti… ci son rimasti solo quelli!
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Basta non sognare out loud. Si rischierebbe una querela.
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