Dalla vittoria delle destre nazionaliste ci perdiamo tutti, alla fine: non esiste un’internazionale sovranista, alla prova dei fatti, ma solo una guerra di tutti contro tutti. E a soccombere è proprio il Made in Italy, che il governo dice(va) di avere così a cuore

(Emanuele Felice – editorialedomani.it) – I dazi di Donald Trump sono un colpo molto duro per l’economia dell’Europa e dell’Italia. Ci aspetta una fase di aumento dei prezzi e recessione. Primo insegnamento: dalla vittoria delle destre nazionaliste ci perdiamo tutti, alla fine, non esiste un’internazionale sovranista, alla prova dei fatti, ma solo una guerra di tutti contro tutti. E a soccombere è proprio il Made in Italy, che il governo dice(va) di avere così a cuore.
Il secondo insegnamento però ha un risvolto positivo: l’Unione europea, su questo, ha una voce sola. Ed è un gigante economico comparabile con gli Stati Uniti. Se non ci fosse stata una politica commerciale comune, cioè l’integrazione europea (quella tanto invisa alle destre nazionaliste), l’Italia sarebbe stata da sola, di fronte al colosso americano, disarmata. Con conseguenze per la nostra economia ancora peggiori. Ora, invece, e a differenza che nella difesa e sicurezza, la situazione è molto diversa. Sennonché, è proprio qui che viene il difficile.
Come rispondere? Ci sono diverse possibilità, anche complementari. Una, ovvia, sono i controdazi. Inevitabili, si sente dire, almeno come arma di pressione, di fronte a un avversario muscolare. E poi non abbiamo iniziato noi. Tutto vero. Ma i controdazi rischiano, va detto subito, di peggiorare ulteriormente le cose. Anche per i produttori italiani ed europei, dato che noi importiamo molte materie prime o semilavorate dagli Usa.
Inoltre, una guerra commerciale su vasta scala è quanto di peggio ci si possa augurare, oggi, nel mondo, visti anche i venti di guerra vera che soffiano da più parti. Ha ragione chi dice che dove non passano le merci passano le armi: nella storia, in genere, è stato così (ad esempio, nella Prima guerra mondiale). I controdazi andrebbero quindi attivati solo se vi è la ragionevole convinzione che, in questo modo, si riesca a spingere l’amministrazione Trump a trattare.
Altrimenti, è meglio lasciar perdere e puntare direttamente su altre strade. Una è la politica monetaria. La riduzione dei tassi di interesse, svalutando l’euro, spinge le nostre esportazioni. A ben vedere, però, questa via è ugualmente problematica. Intanto perché spetta alla Bce e non ai governi. Secondo, perché farebbe crescere ancora di più l’inflazione. Terzo, perché aumenterebbe parallelamente i costi delle importazioni, a partire dall’energia. Quarto, renderebbe più difficile reperire capitali sui mercati internazionali, per finanziare gli investimenti.
Come sempre, in economia è raro trovare pasti gratis. Due altre strade sono però praticabili e convenienti. Una è rafforzare le relazioni commerciali con le altre aree del mondo, ugualmente colpite dalla politica di Trump. Innanzitutto, Canada, Regno Unito, Australia: i nostri principali alleati, oggi, nel campo delle democrazie liberali. E poi il grande Sud globale, a partire dalle democrazie: Messico, Brasile, India. Quindi la Cina.
L’Unione europea è un gigante commerciale e può, su questo, farsi promotrice di un nuovo ordine internazionale cooperativo, alternativo a quello muscolare di Trump, che metta gli Usa di fronte alla prospettiva reale di perdere progressivamente peso. Altro che Make America great again!
L’altra strada, complementare, riguarda solamente noi. Qui siamo in un ritardo drammatico e occorre muoversi subito. È la maggiore integrazione europea. Intanto, bisogna rafforzare il mercato comune, eliminando le barriere tuttora esistenti, ad esempio nelle telecomunicazioni, nell’energia, nelle infrastrutture di trasporto.
Ma poi, l’ideale sarebbe un’Europa Federale, con un fisco unico: vale a dire, senza i paradisi fiscali interni, che consentono alle big tech americane di pagare da noi tasse irrisorie. Se questo è purtroppo un traguardo lontano, perché richiede l’unanimità, una soluzione più immediata può essere far pagare le tasse alle big tech non dove hanno la sede legale, ma, in ciascun paese dell’Unione Europea, in base alla loro quota di fatturato. Questa misura risponde a un criterio di equità e può far male davvero al potere economico americano, oggi in larga parte trumpiano.
Per attuarla, tuttavia, occorre un’Unione europea che abbia la forza di imporsi sui singoli governi. In sintesi. La migliore risposta ai dazi di Trump è un’Unione più coesa, che non solo sia capace di imporsi come leader della cooperazione economica globale, ma completi il mercato unico e avvii il percorso verso l’Europa Federale. Il contrario della visione nazionalista, o «sovranista».
hahahha.. l’amico diventato nemico…. vai giovgia,vai….ti aspetta
salvate almeno il prosecco e il reggiano! hahahaha….
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Comincia dunque, per adesso, la guerra commerciale con gli USA.
Personalmente, anche se sarà doloroso per loro e per noi intendendo in loro e noi coloro che tirano la carretta, spero che si protragga per un tempo sufficientemente lungo da consentirci di sganciarci definitivamente da quella nazione tossica (spiace dire anche questo vista la possibile associazione che si potrebbe fare).
In linea di principio quindi mi trovo in linea con l’articolista, condivido il cosa bisogna fare; sono scettico ed in alcuni (uno) casi visceralmente contrario sul come bisogna farlo.
“Una è rafforzare le relazioni commerciali con le altre aree del mondo, ugualmente colpite dalla politica di Trump. Innanzitutto, Canada, Regno Unito, Australia: i nostri principali alleati, oggi, nel campo delle democrazie liberali. E poi il grande Sud globale, a partire dalle democrazie: Messico, Brasile, India. Quindi la Cina.“
No, li decisamente NO, lo insegna la storia, lo insegnano i fatti recenti.
Passare da un torturatore ad uno strozzino non mi sembra una scelta saggia; cambia solo il tipo di agonia, ma sempre agonia rimane.
Rimane inevasa la domanda: stabilire relazioni commerciali con altri paesi finora ignorati richiede tempo; i tempi par stabilire tali relazioni sono uguali, maggiori o minori dei tempi che si impiegano a distruggere posti di lavoro? E intanto che si fa? Ci si riarma?
“L’altra strada, complementare, riguarda solamente noi. Qui siamo in un ritardo drammatico e occorre muoversi subito”
E’ vero siamo anche qui in forte ritardo; ma il ritardo è solamente come tu lo intendi? Politico? Non c’è anche un altro grave ritardo? Quello tecnologico? Non sarebbe stato meglio spendere i soldi ,anziché in armi, su questo fronte? Non avrebbe garantito sviluppo e di più lunga durata?
“I controdazi andrebbero quindi attivati solo se vi è la ragionevole convinzione che, in questo modo, si riesca a spingere l’amministrazione Trump a trattare.”
I controdazi vanno attuati a prescindere; senza se e senza ma: l’unico modo che hai per trattare chi ti disprezza è ignorarlo e disprezzarlo.
Ha ragione quando dice che l’Europa è un colosso che sul piano economico e commerciale può competere con gli USA; non lo è sul piano politico, questo è il vulnus dell’EU.
Auspicare quindi una maggiore integrazione è certamente la strada corretta; ma secoli di divisione non si cancellano in pochi anni, anche se grossi passi avanti sono stati fatti.
Proprio perché ci sono stati secoli di divisione e diffidenza politica occorre superarli, e come? Il modo migliore è il rispetto del patto di stabilità e crescita; nulla da dire a riguardo?
“Ma poi, l’ideale sarebbe un’Europa Federale, con un fisco unico: “
Lasciamo perdere le big tech; la tassazione nei paesi dove sorge il ricavo è già realtà; solo che in alcune realtà, una a caso, la si trasforma in fantasia.
Cosa si intenda poi per fisco unico rimane un mistero.
Una chiave di lettura potrebbe essere che gli altri paesi pagano per l’evasione fiscale di una? A me pare proprio poco realizzabile.
Condivisibile la conclusione; il cosa non il come
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Alla Von Der Bomben avranno fatto notare che con 800.000.000.000 puoi comprare 100.000.000 di carri armati Panther oppure 10.000.000 di Eurofighter oppure 600 portaerei Cavour.
Il problema è che l’UE è industrializzata, ma non ha le materie prime, quindi deve andare a prenderle da qualche altra parte, a cominciare dagli idrocarburi.
Saremo sempre con il cappello in mano non potendo più fare le campagne coloniali di conquista, visto che non siamo riusciti benissimo nemmeno in Libia.
Almeno avessimo l’alleanza della Russia che E’ EUROPA anch’essa, invece è la prima a cui sputiamo addosso.
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