A leggere i nostri giornali (compreso questo) e sentire i nostri commentatori tv, c’è sempre una ragione chiara alle azioni di guerra sul terreno e un collegamento diretto e immediato tra la politica […]

(Di Fabio Mini – ilfattoquotidiano.it) – A leggere i nostri giornali (compreso questo) e sentire i nostri commentatori tv, c’è sempre una ragione chiara alle azioni di guerra sul terreno e un collegamento diretto e immediato tra la politica e i missili. E siccome da tre anni i nostri corrispondenti in Ucraina ci raccontano quello che vuole l’Ucraina (altrimenti non potrebbero stare lì) e quelli dalla Russia non parlano più, la ragione della decisione americana di permettere all’Ucraina di usare i missili a lungo raggio sulla Russia è una risposta al suo attacco missilistico di ieri. Non importa se lo stesso New York Times, primo sostenitore dei Democratici anche quando perdono, collega invece la decisione di Biden allo schieramento coreano e al previsto attacco russo nell’area di Kursk, quindi un paio di settimane prima, ma sempre una “reazione legittima”. Sarebbe bello fosse tutto così chiaro e deterministico, meccanico, prevedibile.

Purtroppo (per giornalisti e commentatori) la guerra sul campo segue proprie logiche, piani operativi e logistici non sempre rispecchianti quelli politici e della propaganda. La campagna missilistica russa è collegata alla guerra d’attrito decisa due anni fa. Si concentra sulle strutture energetiche e nonostante gli sforzi dei cronisti di rappresentare un massacro di civili con la storia di tre vittime e mezzo di cui una incinta, un bambino e un’infermiera (ormai immancabili), le vittime di 200 missili e 100 droni rimangono tre di numero in tutta l’Ucraina. L’inverno che arriva sarà ancora più duro per gli ucraini: questo è l’unico collegamento diretto della guerra. I missili a lungo raggio Usa sono già arrivati da tempo e sono gli equivalenti di quelli inglesi che già da tempo sono autorizzati a sparare. Se finora non sono riusciti a colpire in profondità è solo perché i lanciatori sono schierati indietro. Se dovessero cambiare di posizione sarebbero obiettivi certi e paganti. Il terreno perciò suggerisce la prosecuzione di una guerra di sfiancamento strutturale ad alta intensità di fuoco a distanza e scarsi movimenti di truppe. La controffensiva russo-coreana sarà come tutte le altre precedenti russe e ucraine: una strage in una ventina di chilometri. La lettura politica va fatta perciò nei luoghi, tempi e fatti della politica e non della battaglia. E qui Washington e Mosca si equivalgono per l’approccio pessimistico e quasi nichilistico. L’Amministrazione Biden non concederà nulla a Trump perché ponga fine al conflitto. Anzi sta facendo di tutto perché il conflitto sia irrimediabile, perché ci sia un’escalation drammatica e che Trump ne diventi il responsabile. Nella migliore tradizione dei Democratici americani l’eredità per il successivo presidente è soltanto la guerra e in particolare il ritorno dello scenario “F*ck Europe” delle “democratiche” amministrazioni. In particolare, Biden deve lasciare a Trump una situazione compromessa in modo che alle elezioni di mezzo termine del 2026 il Partito Democratico possa riconquistare al Congresso quanto finora perduto. Nei rimanenti due anni Trump non riuscirebbe a fare nulla e, in vista della definitiva uscita dalla scena politica, si ripresenterebbe su quella giudiziaria. Sempre che il Donald, messo alle corde, non scateni una guerra civile. Tant pis, tant mieux. È vero che il Deep State ha già garantito che non lo permetterà, ma ha anche garantito altre cose che poi non ha mantenuto come la vittoria militare in Iraq e Afghanistan, la ripresa economica e vari altri magheggi neocon ripresi anche dal Maga (Make America Great Again).

Mosca è altrettanto pessimista. Si aspettava il peggio da Biden e l’ha avuto. Ora si aspetta il peggio da Trump: che non riesca a convincere gli stessi Repubblicani che controllano il Congresso a cessare gli aiuti all’Ucraina, che non riesca a costringere l’Ucraina a cedere territori, l’Europa a riarmarsi e la Nato a combattere da sola contro la Russia. In quest’ottica, gli Usa dovranno accollarsi la direzione del conflitto e la fornitura di armamenti e soldati, l’Europa i costi umani e finanziari e la Nato i morti. I falchi del Cremlino da tempo hanno espresso sfiducia completa nei riguardi della diplomazia, sfiducia nelle promesse o nei patti sottoscritti dal cosiddetto Occidente e ora non hanno fiducia nei confronti di Trump, troppo provocatorio e inaffidabile anche per il poco tempo che ha davanti. Nella logica di Mosca, quattro anni di presidenza Trump per quanto rivoluzionaria sono troppo pochi per un cambio di concezione politica come quella radicata del Deep State. Lo stesso Trump che lo etichetta come “burocrazia da scardinare”, il 20 gennaio se la dovrà vedere con i loro briefing e le loro “raccomandazioni”. Ci è già passato e ne ha constatato la resilienza. Per questo i falchi moscoviti hanno più volte proposto la loro soluzione: interventi nucleari in Ucraina e su chiunque altro in Europa, Nato e non-Nato voglia interferire. Sarebbe un disastro, ma programmato e con l’aggiunta di altre significative conseguenze: l’impegno diretto Usa in Europa contro la Russia li distoglierebbe dall’impegno in Medio ed Estremo Oriente.

L’idea d’indebolire Mosca per colpire Pechino avrebbe il risultato opposto: lo schieramento aperto e diretto della Cina con la Russia. L’idea di lasciare il Medio Oriente in mano a Israele sfascerebbe l’Onu e la Nato. Se Biden e Trump hanno le loro agende interne per cui son disposti a qualsiasi conflitto in casa altrui e perfino in casa propria, alla Russia si presentano solto le opzioni che riguardano il conflitto globale diretto e indiretto contro gli Usa, come durante la Guerra fredda, ma entrambi con diversi alleati, consensi e prevedibili risultati.