
(Massimo Cacciari – lastampa.it) – Con Francesco Merloni se ne è andato l’ultimo di coloro che hanno fatto la ricostruzione del Paese non solo col lavoro delle proprie industrie, con la loro tenacia di imprenditori, ma sulla base del pilastro della solidarietà. Merloni non concepiva sviluppo se non nel quadro di uno Stato nel senso che la nostra Costituzione delinea: uno Stato responsabile nel rimuovere tutti gli ostacoli che impediscono una reale, non formale libertà. I grandi industriali, per Francesco Merloni, non erano tenuti soltanto a sostenere una tale strategia politica, a sollecitare lo Stato in questo senso, ma dovevano aiutarlo fattivamente a realizzarla, esigendola anzitutto da se stessi, dalle loro stesse azioni, nella contrattazione sindacale, in materia fiscale, nelle opere pubbliche di interesse generale.
La stagione neo-liberista ha spazzato via questa cultura – perfino in vasti settori della fu-sinistra! Francesco ne soffriva e ha lottato fin quando ha potuto per contrastare questa debacle. Tutte le volte che ci siamo incontrati – poche, ma per me assolutamente significative – dopo esserci conosciuti alla fine degli anni ’70 come deputati (e lui, più tardi, ministro e presidente di Confindustria) ci interrogavamo sulle cause di questa sconfitta e se fosse possibile un contraccolpo… Francesco non era cambiato. Era lo stesso imprenditore serio, colto, responsabile, che avevo conosciuto mezzo secolo prima. Un grande borghese, vorrei dire. Ora il genere non esiste più; è scomparso come è scomparsa la «classe operaia». Ora comprendiamo che il loro conflitto era storicamente coincidentia oppositorum! Ciò che ne è seguito è solo appetito egoistico, è solo moltitudine mediocre rappresentata da demagoghi. Verso dove ci guidano dovrebbe risultare chiaro dalle tragedie che stiamo vivendo.
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